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L’IMPORTANZA DELL'ACCESSO FEMMINILE IN ITALIA E IN EUROPA ALL'ISTRUZIONE E AL MONDO DEL LAVORO.

IERI, OGGI, DOMANI.

Alessandra Necci

Presidente Comitato Etico e Culturale ENM

Per le donne, in Occidente, l’accesso all’istruzione e al mondo del lavoro è frutto di una lunga storia, complessa e certamente non scontata. Al fine di comprendere le difficoltà che hanno caratterizzato e, in certi casi, continuano a caratterizzare - questo ingresso, è interessante compiere un excursusstorico sulla condizione femminile nei cosiddetti Paesi “civilizzati”. Esso mostra chiaramente quanto sia stato duro, per “l’altra metà del cielo”, arrivare a usufruire di un’educazione completa e conseguentemente raggiungere una posizione autonoma in seno alla società. Tale possibilità è una grande conquista democratica del XX secolo, e di alcuni Paesi soltanto. Attraverso la sua compiuta realizzazione, passa oggi lo sviluppo economico e sociale di interi continenti. E’ noto, infatti, che l’istruzione e la formazione contribuiscono in modo decisivo a dare una risposta alle crescenti sfide socio-economiche e demografiche che i nostri Paesi sono chiamati ad affrontare. In questi ambiti, cruciale è la questione femminile.

Come dice l’OCSE, “le variazioni dell’occupazione femminile tra i vari Paesi sono un fattore primario di differenza nei tassi totali di occupazione”. Lo stesso rapporto chiarisce con dati eloquenti che l’occupazione aumenta con il livello di istruzione. Le differenze che si registrano nei livelli di occupazione riflettono dislivelli nei tassi di attività lavorativa delle donne e sono il prodotto di disparità culturali. I Paesi con l’occupazione più alta sono quelli in cui più elevata è la partecipazione femminile al mondo del lavoro: questa variazione riflette diversi modelli culturali e sociali.

Prima di snocciolare dati e cifre, potrebbe essere esemplificativo e importante, compiere un “viaggio a ritroso nel tempo” e analizzare la posizione - e l’evoluzione, quando c’è stata - delle donne nei secoli. In questo journey to the past, si deve necessariamente partire dalla classicità, dall’antica Grecia e Roma. Una metafora culturale, che mostra quanto tortuoso sia stato il percorso per arrivare a quello che oggi a noi in Occidente sembra un dato acquisito, è la storia di Tacita Muta, dea dell’antica Roma. Una storia (o meglio, leggenda, mito) che viene riportata dalla celebre grecista Eva Cantarella nel libro omonimo.

All’inizio, quella che diverrà Tacita Muta, era una Naiade, una Ninfa dei Fiumi. Il suo nome era Lara, che deriva dal verbo greco Laleo, cioè “parlare”. Un giorno, Lara, spinta dalla sua eccessiva passione per la parola (e la chiacchiera), commise una grave imprudenza. Raccontò a sua sorella Giuturna che Giove (Zeus per i Greci) nutriva una segreta passione per lei e avrebbe cercato di concupirla con l’inganno. Venutolo a sapere, il padre degli dei, infuriato, le strappò la lingua. Poi la affidò a Mercurio, o Hermes, perché la portasse negli Inferi. Questi, durante il viaggio, la violentò. Dopo nove mesi nacquero due gemelli che, un volta cresciuti, saranno noti come Lari Compitales, cioè le divinità che proteggono la città e vegliano sui confini. A quel punto, Lara divenne Acca, Mater Larum, la madre dei Lari, e celebrata ogni anno come la Dea del silenzio. Appunto, Tacita Muta. Il simbolo a lei opposto è il dio Aius Locutus, cioè il dio che parla - un uomo - e che interloquisce, dal verbo latino loquor.

La parola, il verbo, bisogna ricordarlo, aveva per i romani una grande rilevanza ed era appannaggio maschile: si qualificava come lo strumento di vittorie politiche, ideologiche, culturali e serviva a conquistare il consenso dell’opinione pubblica.

Se la donna non possedeva un ruolo autonomo e indipendente - cardine della famiglia era il pater familiasnon bisogna però sottovalutarne la rilevanza come madre e educatrice. La celebre Cornelia, tramandata nella storia per aver presentato i figli Caio e Tiberio Gracco alle amiche adorne di monili come “i miei gioielli”, ebbe grandi meriti educativi nei confronti dei rampolli e diede una spinta decisiva alla loro carriera politica.

Il ruolo femminile non era dunque solo quello connesso alla “riproduzione”, come succedeva nell’antica Grecia. Nella caput mundi, la donna era invece conscia di avere una grande responsabilità nei confronti della cittadinanza. Quella cioè di instillare nei figli i valori che caratterizzavano Roma, rendendoli veri cittadini romani. In virtù di tale compito - e purché lo rispettassero - le signore godevano di rispetto e privilegi, nonché una salvaguardia giuridica che crebbe nei secoli. Ben diversa era stata la sua posizione in Grecia. I personaggi femminili dell’Iliade e dell’Odissea offrono, è vero, una ampia galleria di modi di intendere il loro ruolo, e godono di maggior libertà di quelle che a loro succederanno, ma sempre in termini di sottomissione. Aveva detto Demostene, con una efficace sintesi della situazione: “Abbiamo le mogli per darci i figli, le concubine per i piaceri dei sensi e le etere per quelli dello spirito e della mente”. Fra queste ultime, è rimasta celebre per cultura e bellezza Aspasia, compagna di Pericle, e come tale invisa ai suoi concittadini.

Una donna, quella della Grecia classica, che doveva restare chiusa nel gineceo, legata da leggi restrittive e sorvegliata da magistrati speciali, con la sola eccezione di Sparta.

A riprova della scarsa libertà, e spesso scarsa considerazione, di cui godeva “l’altra metà del cielo”, il tragediografo Euripide si chiedeva, in modo retorico: “Zeus, perché dunque hai messo fra gli uomini un ambiguo malanno, portando le donne alla luce del sole?”.

Qualche secolo dopo, con l’avvento del cristianesimo, nel 370 d.C. troviamo anche una scienziata, Ippazia, nata a Alessandria d’Egitto, grande filosofa e matematica, ma promessa a un tragico destino perché troppo avanti, troppo libera e intelligente per sopravvivere.

Le invasioni barbariche misero in discussione le fondamenta stesse della civiltà, modificando e disgregando l’intera situazione politica, giuridica, sociale ed economica. La posizione femminile non poté che risentirne in peggio. Durante il Medioevo, e per molto tempo, a parte le pregevoli eccezioni di grandi regine e nobili, come ad esempio Matilde di Canossa o Eleonora d’Aquitania, colte e capaci di creare intorno a loro un cenacolo di letterati, nonché di influenzare la politica - alla donna, a milioni di esse, non restò come alternativa che essere incardinate alla famiglia, oppure entrare in religione e chiudersi nel chiostro.

Con il Rinascimento, comincia a spirare un’aria diversa e molti sono gli esempi di donne nella politica, nell’arte, nei salotti. Nobili letterate e politiche come Isabella e Beatrice d’Este, Lucrezia Borgia, Elisabetta Gonzaga, Caterina Sforza; cortigiane dotte come Imperia; pittrici come Artemisia Gentileschi: il panorama femminile in Italia soprattutto - è vario e interessante. Molte signore, addirittura, regnavano in nome e per conto dei figli minori o dei mariti assenti; dando ottime prove di loro stesse.


Difficile, invece, la situazione delle popolane e di chi non ha accesso all’istruzione. Elisabetta Gonzaga e sua cognata Isabella d’Este dichiaravano infatti orgogliosamente in una lettera: “A noi (sottinteso: donne) che teniamo Principato è concesso fare quello che a privati sarebbe dannato”, volendo significare che la loro posizione di principesse le legittimava a libertà intellettuali e di parola che mai sarebbero consentite ad altre.

All’epoca, in effetti, il cosiddetto “ascensore sociale” di cui tanto si parla oggi, non esisteva. Solo coloro che erano già nate in alto, al vertice, potevano sperare di ritagliarsi una posizione autorevole. Per fare ciò naturalmente, dovevano essere intelligenti, colte, brillanti, abili politiche, mecenati e protettrici delle arti, eleganti, alla moda... insomma, avere ben più qualità di quelle che si richiedevano agli uomini della stessa classe. L ’educazione delle bambine nobili o di famiglie ricche, era spesso perfezionata al pari dei loro fratelli, con risultati persino migliori, ma questo non garantiva certo un accesso automatico al potere.

Anche nel periodo successivo si trovano esempi femminili che, grazie a posizione, censo o forza d’animo seppero sottrarsi ai canoni correnti per innalzarsi sopra le altre.

La Francia, in modo particolare, non è stata avara di grandi donne e grandi regine. C’è Caterina de Medici, che arriva dall’Italia nel 1533 per sposare il secondogenito del re Francesco I, e poi si trova inaspettatamente sul trono, regnando con grande fermezza in decenni difficilissimi. C’è sua figlia, la Regina Margot, che va a sfortunate nozze con il protestante Enrico di Navarra, successivamente divenuto sovrano di Francia con il nome di Enrico IV (il famoso sovrano di “Parigi val bene una messa”). Ancora, ci sono Maria de’ Medici, la seconda moglie di Enrico IV, che ha il merito di scoprire Richelieu, e sua nuora Anna d’Austria, sposa di Luigi XIII, alleata di Mazzarino e madre del futuro re Sole.

Un’interpretazione restrittiva e retriva della legge salica di origine capetingia impedisce alle donne nate nelle case regnanti di salire direttamente al trono. Paradossalmente, però, quelle stesse signore sono considerate “le più fidate custodi della legittimità dinastica”, e dunque possono esercitare la reggenza in caso di minore età dei figli o di lontananza dei mariti. Non è un caso, che nella storia (in quella francese, soprattutto), troviamo molte governanti dotate di temperamento e intelligenza. Il loro regno, tuttavia, è irto di ostacoli, visto che nessuna legge le tutela, anzi al contrario coloro che sarebbero legittimati a prendere in mano le redini del regno sono i cosiddetti “principi del sangue”.

In Inghilterra, invece, è sovrana assoluta prima Maria Tudor, la vituperata Bloody Mary; poi la sorellastra Elisabetta I Tudor, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, che dà vita a un periodo di grandezza e fasto, ricordato nei secoli.

Il sapere, la cultura, l’istruzione restano senza dubbio gli alleati più preziosi del gentil sesso. Dal Rinascimento in poi, e soprattutto nel Seicento e Settecento, si va formando una categoria di donne che hanno fatto della cultura e dell’uso della parola la loro cifra. Molte di esse, durante la ribellione di metà Seicento che in Francia passa sotto il nome di Fronda, hanno trasformato i loro salotti in centri di potere politico. I nomi di queste signore sono noti ed effigiati nei celebri romanzi di Alexandre Dumas, che narra le gesta della famigerata Madame de Chevreuse o della duchessa d’Aiguillon. Nel XVII secolo, e durante tutto l’Ancien Regime, con l’aumento della vita mondana e sociale, la cultura ha conosciuto una grande espansione e le donne, vere animatrici dei “salotti”, vedono accrescere il loro potere in modo rilevante. La grande memorialista Madame de Sévigné ha descritto nelle sue lettere alla figlia l’epoca di Luigi XIV, e quel periodo straordinario chiamato giustamente “la Civiltà della conversazione”, che ha conferito alla figura femminile una centralità e una forza mai avuta prima. Proprio le donne infatti, grazie alla capacità di mettere insieme i personaggi intellettualmente più rilevanti del secolo, hanno contribuito a diffondere le nuove idee, che avrebbero portato a cambiamenti epocali. Il successivo “Secolo dei Lumi” del Settecento deve moltissimo all’attività delle varie “Ninfe Egerie”.

Si potrebbe credere che la Rivoluzione francese abbia aiutato l’emancipazione femminile, e favorito il loro accesso all’istruzione, ma non è stato completamente così. E’ vero, infatti, che le donne sono state protagoniste, sia come vittime sia come ispiratrici, di questo complesso periodo, ma sempre in modo strumentale. E’ rimasta celebre Olympe de Gouges, che ha cercato di redigere una “ Dichiarazione dei diritti della donna” parallela a quella dei “Diritti dell’uomo”, ma essa non fu accolta e la sua autrice finì ghigliottinata.

Anche altrove, ovviamente, troviamo donne di spessore, quasi sempre donne proiettate al vertice del potere.
L ’imperatrice Maria Teresa d’Austria (1717-1780), madre fra l’altro della sventurata Maria Antonietta, ha regnato per molti anni sull’Impero, con grande forza e fermezza. In Russia, la celebre zarina Caterina (17291796) ha fondato nel 1767 la prima scuola femminile. In Italia, nel 1799, Eleonora de Fonseca Pimentel si è affermata, dopo molte difficoltà, come direttrice del “Monitore Napoletano” e ha elaborato un progetto per l’istruzione delle donne, per essere poi giustiziata dai Borbone.

L ’Impero napoleonico - che pure ha visto diversi esempi femminili brillanti e colti, fra cui la celebre Madame de Stael - ha imposto alla donna un ruolo piuttosto limitato, sottomesso al marito. Almeno, però, con i suoi celebri codici, ha cristallizzato una serie di leggi e consuetudini. La Restaurazione, quindi, tende a tornare verso un ordine costituito e chiuso dei costumi. La libertà intellettuale ottenuta nei decenni precedenti non doveva intaccare in nessun modo il nucleo della società e cioè la famiglia.

L’Ottocento è stato, con tutte le sue contraddizioni e le sue eccezioni, un secolo profondamente borghese, in cui la tendenza è stata quella di rinchiudere la donna in ruoli stereotipati dalla morale convenzionale e rigida. Si sviluppò, è vero, un movimento riformista favorevole alla causa femminile, perché esso voleva arrivare alla giustizia tramite l’uguaglianza, ma ha avuto poca incidenza.

Quello che ha realmente aiutato a mutare le sorti dell’universo femminile, è stato invece il lavoro. La donna - quella delle classi medie e inferiori - ha ritrovato così un’importanza economica, perché ha lasciato il focolare ed è andata a lavorare, spesso nelle fabbriche. Molto più sfruttata degli uomini, certo, con diverso livello salariale, con una regolamentazione giuridica tardiva, ma in grado di accedere a un’autonomia prima preclusa. Innescatosi il meccanismo, è stata logica conseguenza la conquista dei diritti politici, in Francia, Inghilterra e Usa. Nel 1867, in Inghilterra, è stata pronunciata la prima arringa per il voto alle donne: sono rimaste celebri le battaglie delle “suffragette”.

In Italia, ci sono state molte donne che hanno preso parte attiva ai movimenti di indipendenza e al Risorgimento, non solo appartenenti alla classe alta, ma a tutti i ceti, compresi quelli popolari. Fra le nobili, spicca la principessa lombarda Cristina di Belgioso, che aveva scritto nel 1886 un saggio dal titolo “Della presente condizione delle donne e del loro avvenire".

Oltre a lei, troviamo Clara Maffei, amica di Verdi e Manzoni. Appartengono a ceti più modesti, invece, Colomba Antonietti, Peppa “la cannoniera” e la celeberrima Anita Garibaldi. Nonostante il grande contributo femminile all’Unità, però, la storiografia tende a misconoscerne l’importanza.

Il Novecento vede la questione femminile emergere prepotentemente alla ribalta. Intellettuali come Simone de Beauvoir e il suo libro “Il secondo sesso”, leader politiche come Margaret Thatcher, Golda Meir e Indira Gandhi, populiste come Evita Peron, artiste come Louise Bourgeois, scienziate come il Premio Nobel Rita Levi Montalcini: le donne si affermano in tutti i campi.

Molti i temi su cui si dibatte: femminismo, pari opportunità, accesso all’istruzione, parità retributiva, leadership politica, ruolo di donna lavoratrice e di madre. La lotta per la democrazia, in molti Paesi, è stata ed è in definitiva quella per una piena partecipazione della donna alla vita civile.

Per fare un esempio pratico, e guardando alla storia del nostro Paese, con l’unità d’italia la Destra Storica dovette affrontare il problema dell’analfabetismo di un Italia che ancora non riusciva a riconoscersi in una lingua nazionale unica e in cui i dialetti predominavano.

Nel 1860 venne varata in Piemonte la legge Casati, per creare un sistema scolastico nazionale unico. Essa stabilì l’obbligo dell’istruzione elementare e riorganizzò l’accesso alle superiori. In teoria il diritto all’istruzione era uguale per i due sessi, ma veniva diversificato nei contenuti. La cultura intellettuale per le donne aveva infatti come “unico fine la vita domestica”. Nel 1877 la legge Coppino ribadì la frequenza scolastica obbligatoria portandola fino a 9 anni.

Nel 1924 venne fatta la riforma Gentile per rinnovare i corsi di studio. Dal 1943 al 1945 la guerra e la sua conclusione resero indispensabile un ripensamento della scuola. Nel 1946, l’elezione per l’Assemblea Costituente vide per la prima volta le donne partecipare a una consultazione politica nazionale. La nostra Costituzione sancì poi all’articolo 3 la piena parità e uguaglianza fra uomo e donna.

Con gli anni ‘60, anche in virtù del “miracolo economico”, l’accesso all’istruzione diventa quasi un fenomeno di massa. Nel 1962 viene varata una riforma della scuola media statale, alla fine degli anni ‘60 altre riforme del liceo e dell’Università.

Il percorso per arrivare alla parità di fatto fra uomo e donna continua ancor oggi, con risultati sempre più evidenti. Gli ultimi decenni di storia italiana sono caratterizzati dalla crescita del livello di istruzione delle donne. Nella fascia di popolazione fra i 25 e i 44 anni, le donne con titolo superiore sono oggi più degli uomini. Tra gli anni scolastici 1970/71 e 2005/2006 sono più che triplicate le donne che hanno preso il diploma, e oggi sono l’80%.

L ’Italia ha fatto un grande sforzo per garantire un generale accesso all’istruzione. Questo è stato determinante per lo sviluppo del Paese e la discontinuità col passato. Le politiche per l’istruzione sono state, probabilmente, quelle più riuscite all’interno dello sviluppo del Mezzogiorno.

Siamo partiti nel 1861 con l’84% della popolazione femminile analfabeta e oggi possiamo dire con orgoglio che il numero dei diplomati donne nella scuola secondaria superiore è superiore a quello degli uomini. I dati dimostrano che il progresso del nostro Paese è il progresso della condizione femminile.

Uno dei fattori evolutivi più importanti, secondo i più aggiornati rapporti di economia e politica internazionale, per andare nella giusta direzione è, come si è detto all’inizio, l’aumento dell’ istruzione femminile. Solo esso può garantire uno sviluppo armonico del mondo contemporaneo, assicurare la crescita economica, favorire l’affermazione della democrazia.

Anche a livello di Unione Europea è stato fatto un progresso in tal senso. La parità fra uomini e donne è stata ribadita nel Trattato di Amsterdam, e costituisce un pilastro dell’occupazione nell’Unione Europea. Gli Stati membri hanno inserito tale principio di parità, in modo particolare nei settori dell’Istruzione e della Cultura: una politica integrata a livello comunitario favorisce le azioni a livello nazionale. Modernizzare l’istruzione e la formazione è fondamentale per la prosperità, la creazione di posti di lavoro e la coesione sociale, secondo il Consiglio Europeo del 2006.

Uno strumento come il Microcredito, che ha già fatto tanto per favorire l’imprenditoria e l’iniziativa femminile, può rivelarsi vincente per migliorare l’accesso della donna all’istruzione e al lavoro, per cui è fondamentale che si strutturi sempre più in tal senso. Sapendo che, aiutando “l’altra metà del cielo” (e non solo nei Paesi occidentali, ma in tutto il globo) ad accedere all’istruzione e al lavoro, si aiuta tutto il mondo.

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