Archivio opinioni

Emma Evangelista
Raccontare lo spaccato del Belpaese attraverso le indagini e l’analisi dei dati è l’arduo e troppo spesso negli ultimi tempi ingrato compito che l’Eurispes si prefigge dal 1982. Ogni anno il Rapporto Italia riassume in base a termi specifici le tendenze della nostra società legate a una visione economica sempre attenta a quelle che sono le chiavi di sviluppo e sicurezza del territorio e alla percezione che i cittadini hanno della gestione dello Stato. All’apice di questo importante istituto, dalla sua fondazione, il professor Gian Maria Fara, sociologo e scrittore, elabora e racconta le abitudini e le tendenze degli italiani, senza sconti. Con una visione sempre lucida e legata alle dinamiche tra cittadini e pubblica amministrazione il professor Fara rende sempre un’interpretazione delle problematiche che risponde alla fotografia del Paese reale con cui attraverso gli strumenti dell’Eurispes offre un valido sostegno anche agli indirizzi economici, sociali e soprattutto a una classe dirigente che rappresenta gli interessi politici del Paese. In un anno così difficile per il nostro Paese e per il mondo è da rilevare che la presentazione del Rapporto Italia è stata posticipata, per questo motivo il nostro interesse nel voler comprendere gli andamenti del Sistema e le possibilità che si aprono all’orizzonte per la ripresa economica ci hanno spinti a intervistare direttamente il Presidente Fara per anticipare le sue considerazioni su un percorso di rinascita post pandemia.
Buongiorno Presidente, quest’anno Lei ha raccolto 7 anni di memorie editando un libro a Marzo che si chiama “L’Italia del nì”, questa Italia dove sta andando dopo la pandemia?
Questo cercheremo di capirlo nei mesi prossimi, già l’Italia è un Paese complicato di per sé poi alle complicazioni strutturali si è aggiunta anche la pandemia quindi vediamo che cosa succede, che cosa viene fuori insomma. “L’Italia del nì” è la metafora di un Paese che non decide, è un’Italia che non sa decidere che non sa assumersi le responsabilità, che ha difficoltà su tutti i fronti a prendere decisioni a darsi un progetto ad immaginare un percorso, questa è “L’Italia del nì” che io ho cercato in qualche maniera di rappresentare. Le esperienze recenti proprio legate alla pandemia hanno dimostrato che quel titolo “L’Italia del nì” hanno dimostrato come questo titolo fosse quasi profetico, insomma noi abbiamo visto in questi mesi una grande difficoltà del governo di assumere decisioni chiare e coerenti, pensi a tutti i lockdown, zone rosse, zone arancioni, zone gialle, un giorno sì e un giorno no, l’altro pure, insomma gli italiani sono molto confusi, non sanno che pesci prendere, anche io questa mattina mi sono alzato e mi sono chiesto ma oggi che cos’è? È rosso è giallo? È verde? Possiamo uscire? Possiamo andare a lavorare, possiamo fare acquisti? Insomma un po’ di chiarezza in più e una diversa capacità di comunicazione forse avrebbe aiutato i cittadini.
Lei da sociologo come immagina questo nuovo anno, con i postumi di una pandemia e con una crisi economica sostanzialmente importante?
Guardi io nonostante tutto sono sostanzialmente ottimista, io credo che il Paese comunque nelle sue diverse articolazioni economiche politiche e sociali abbia maturato in questo periodo così difficile nuove consapevolezze e abbia recuperato anche un certo senso della responsabilità. Sono convinto che il 2021 sarà un anno di ripresa, un anno di impegno, gli italiani offrono il meglio di sé sempre durante i periodi di crisi e io confido nella capacità di resilienza degli italiani, confido anche nella loro creatività, nel loro impegno, nella loro capacità di affrontare momenti difficili. D’altra parte se pensa alla storia di questo Paese le cose migliori le abbiamo fatte nei momenti più duri, nei momenti più difficili, abbiamo trasformato un Paese arretrato, un Paese agricolo, in una moderna democrazia industriale, un Paese povero nell’arco di qualche decennio è entrato a far parte delle prime 10 potenze economiche mondiali. Bene io credo che questo spirito in qualche modo tornerà ad essere presente e tornerà ad essere attivo e quindi sono convinto che dal 2021 nonostante i disastri provocati dalla pandemia il Paese reagirà, reagiranno gli italiani, penso ad una reazione più del Paese che del sistema, perché io sono convinto che sistema e Paese non siano più la stessa cosa sono due separati in casa, da una parte il sistema che abbiamo visto che non funziona e dall’altra il Paese che nonostante tutto va avanti.
Dunque lei cosa pensa di quella che viene definita la digital transition, gli italiani hanno dovuto imparare a loro spese molto velocemente ad utilizzare almeno in parte alcuni dei sistemi digitali, ma ci sarà davvero questa svolta con tutti questi soldi che stanno arrivando per la digital transition? Chi ne usufruirà veramente visto che abbiamo un Paese che va ad una velocità diversa dal sistema?
Guardi Lei pone la domanda giusta alla persona sbagliata perché io appartengo ancora alla Galassia Gutenberg non ho ancora affrontato il mondo McLuhan, quindi come dire sono l’uomo meno digitale che esista al mondo riesco a malapena a sbrigare qualche funzione che il telefonino mi offre, tuttavia capisco che nonostante me il mondo va avanti, cambia e che siamo avviati verso una transizione forzata, è un cambiamento epocale al quale non ci possiamo sottrarre. È certo che la transizione va in qualche modo sostenuta va in qualche modo aiutata, penso soprattutto al fronte economico non è sufficiente parlare di transizione perché questa in automatico avvenga, come diceva il vecchio Marx “le idee camminano sulle gambe degli uomini” se poi gli uomini non si attrezzano e non mettono in campo gli strumenti necessari anche questa transizione obbligata finirà per essere invece una transizione forzata, una transizione che ci sarà imposta dagli altri, dai fatti, dai cambiamenti globali. Io credo invece che gli italiani possano avere le risorse e l’intelligenza necessaria per essere protagonisti di questo cambiamento e di questa transizione.
Presidente, Recovery Fund si, Recovery Fund no? L’Italia ha bisogno di questi fondi europei? Qual è il rapporto sano secondo lei da tenere con l’Europa, dopo la Brexit.
Recovery Fund si sicuramente e io non avrei esitazione cercherei di portare a casa anche il Mes nonostante le resistenze ideologiche. Il Recovery Fund è sicuramente uno strumento importantissimo, uno strumento essenziale, l’unico in grado di dare le prime risposte ad una crisi che è profonda perché un anno e mezzo di covid-19 ha disastrato l’intero sistema economico e il sistema delle imprese, ha messo in discussione addirittura il modo di vivere di noi cittadini. Le risorse del Recovery Fund però andranno ben utilizzate perché chi pensa che tra qualche mese arriverà una pioggia di denaro dall’Europa e che sarà distribuita a piene mani insomma è un po’ eccessivo anche se poi questa idea è abbastanza diffusa nel nostro Paese. Le risorse dall’Europa arriveranno con condizioni ben precise, L’Europa ci chiede di utilizzare le risorse che arriveranno o meglio per essere chiari l’Europa ci metterà a disposizione le risorse necessarie per sostenere dei progetti che abbiano una coerenza economica, una coerenza sociale e anche una coerenza istituzionale, quindi queste risorse dovranno sostenere e dovranno essere impegnate a sostenere il cambiamento, la digitalizzazione, la riforma della pubblica amministrazione, il sistema delle infrastrutture. L’Europa ci metterà a disposizione i soldi solo dopo aver visto e aver esaminato dei progetti seri e coerenti, sicuramente l’idea dell’Europa non è quella della distribuzione a pioggia del denaro.
Presidente l’anno scorso ha presentato un rapporto Eurispes molto duro nei confronti del sistema Paese, non ha fatto sconti, né alla pubblica amministrazione né al settore privato degli investimenti. Quest’anno dopo aver passato un periodo di difficoltà economica e sociale, come vede la possibilità del Paese di interagire con i cittadini? La fiducia nelle istituzioni sembra essere cresciuta o meglio la fiducia nelle forze dell’ordine come polizia e sicurezza ma quella nelle nostre istituzioni e nei nostri governanti è sempre più in calo. E la possibilità di riallacciare queste due velocità del Paese?
Vede una volta noi eravamo abituati a parlare di sistema Paese, era il sistema Paese che procedeva, che andava avanti, che cresceva, segnalo non a caso da qualche anno una separazione tra sistema e Paese. Il sistema e il Paese sono due separati in casa che convivono con più o meno difficoltà, con più o meno benevolenza, una cosa è certa che il sistema va da una parte e il Paese tende ad andare nell’altra. Il sistema tende a tutelare se stesso i propri privilegi e il proprio modo di essere, il Paese invece si aspetta dal sistema attenzione, strategie, risorse e progetti, il Paese vorrebbe dal sistema un indirizzo, un progetto, una meta verso la quale dirigersi. Così come è stato negli anni nell’immediato dopoguerra quando sono stati chiesti agli italiani sacrifici enormi ma in virtù di un progetto, in virtù di un’idea, di un cambiamento, di una crescita, di modernizzazione, tutte cose che il sistema non è più in grado di dare, perché diciamocelo francamente, il sistema è diventato profondamente egoista, pensa prima di tutto a se stesso, alla propria affermazione alla propria sopravvivenza. Il Paese si rende conto di questo distacco del sistema dalle esigenze dal vissuto quotidiano dei cittadini e quindi avviene appunto questa separazione questo allontanamento. La fiducia nelle istituzioni di conseguenza continua a calare, tutte le nostre analisi, tutte le nostre indagini dimostrano questo progressivo allontanamento questa difficoltà di dialogo tra sistema e Paese che appunto vanno in due direzioni diverse. Che dire, il Paese è abituato anche a far da sé, si diceva un tempo: “l’Italia cresce, il Paese funziona nonostante la sua classe dirigente”. Credo che questo sia ritornato ad essere vero. Come si ricostruisce questo rapporto? Con una classe dirigente responsabile, con una classe dirigente che sappia farsi carico dei problemi complessivi del Paese, con una classe dirigente che sia meno egoista.. Io poi parlo sempre di classe dirigente in generale, non parlo mai di classe politica perché vede la politica è solo un pezzo della classe dirigente, noi siamo di fronte ad una crisi generale, ad una crisi della classe dirigente in generale, perché è in crisi la politica, è in crisi il mondo dell’informazione, dell’accademia, è in crisi l’economia, è la classe dirigente nel complesso che ha difficoltà e la politica finisce per essere spesso il capro espiatorio di una crisi che invece è più generale e più ampia. Quindi il problema vero sta nella capacità della classe dirigente in generale di saper rispondere alle attese e alle aspettative del Paese. Considerando che poi l’opinione dei cittadini anche sui massimi sistemi si forma sulla base del vissuto quotidiano, perché i cittadini sono costretti a fare i conti con gli impegni e con le difficoltà di tutti i giorni, cose che spesso non vengono capite da chi non ha i problemi di tutti i giorni. Adesso non vorrei buttarla in politica ma ho la sensazione che chi non soffre non capisce, oppure parafrasando Goethe che diceva che la sensibilità nasce dall’ombelico, insomma non puoi essere sensibile se non conosci la sofferenza.
In questo momento Francia e Germania stanno tornando agli investimenti dello Stato nelle grandi imprese, Secondo Lei che ha vissuto invece lo smantellamento delle grandi imprese statali si può tornare indietro? È utile? Come può lo Stato intervenire per salvare in questo momento di crisi un’impresa che è in sofferenza?
Ma i francesi e i tedeschi hanno fatto nel corso degli anni una politica di tutela dei loro asset cosiddetti strategici, non hanno consentito la privatizzazione delle ferrovie, la produzione di energia è nelle mani dello Stato, il sistema delle telecomunicazioni…. Noi invece abbiamo svenduto per così dire tutto, c’è una nostra ricerca molto bella di qualche anno fa che si intitolava “L’Italia è in (S)vendita” con la S tra parentesi dove segnalavamo un declino progressivo di un Paese che aveva venduto i migliori pezzi dell’argenteria, ormai c’è rimasto poco. Quindi noi abbiamo fatto l’errore strategico di smantellare e privatizzare i nostri asset importanti, oggi ci rendiamo conto di quanto questa politica sia stata deleteria di quanto sia stata miope, di quanto sia stata poco lungimirante e quindi stiamo facendo un percorso a ritroso, stiamo cercando senza ammettere gli errori del passato di ricostruire pezzi di sovranità statale su parti dell’economia che andrebbero effettivamente gestite dallo Stato, cioè io non ho mai capito ad esempio perché si dovessero cedere le autostrade a dei privati, con i risultati che poi noi tutti quanti conosciamo, autostrade che producono un reddito e massicce entrate quotidiane di denaro contante e quindi non ho mai capito perché lo Stato dovesse rinunciare a tutte quelle risorse a vantaggio invece di privati che poi non hanno fatto neanche bene il loro dovere, io l’ho detto in varie occasioni, non avrei mai venduto ad un fabbricante di maglioni le autostrade italiane.
Presidente noi ci occupiamo di microfinanza di microcredito e di aiuto e sostegno alle persone che sostanzialmente vengono definite non bancabili, ma che hanno un’idea e un progetto. Qual è il Suo consiglio per un giovane o comunque per una persona che oggi vuole intraprendere e mettere su un’attività e che vuole cominciare a produrre e a rientrare in questo circuito, in questo sistema Paese che attualmente traballa.
Il primo consiglio, visto il lavoro che fate e i risultati che ottenete e i successi che avete prodotto nel corso degli anni, sarebbe ovviamente quello di rivolgersi al sistema del microcredito perché potrebbe essere il primo propellente per far partire un’attività, un’iniziativa economica. Noi siamo il Paese delle piccole imprese anzi direi addirittura delle microimprese, su 5 milioni di imprese il 97-98% sono imprese artigiane, questo sistema è anche la fotografia del modo di essere di noi italiani: sostanzialmente degli individualisti che però, partendo anche dalla piccolissima dimensione, spesso riusciamo a produrre cose che poi assumono una dimensione nazionale se non addirittura internazionale. Quindi il lavoro che fate voi il lavoro di sostegno a iniziative singole o di piccolissime imprese sul fronte della creazione di Startup è un lavoro importantissimo è un lavoro essenziale perché in genere il sistema bancario tende a offrire aiuto e mette a disposizione risorse a chi già le ha, quello che voi fate invece è mettere a disposizione delle risorse per chi è in difficoltà ma ha qualche buona idea da sviluppare e quindi io credo che il vostro lavoro sia un lavoro importantissimo, sottovalutato dallo Stato, perché il vostro ruolo secondo me può essere essenziale proprio per la ripresa di fiducia nel rapporto tra cittadino e istituzione, tra cittadino e sistema, tra cittadino e banche, tra cittadino e mondo della produzione. Destinare risorse enormi a grandi imprese che comunque hanno già un sostegno dal sistema economico degli azionisti, degli interessi dei grandi capitali, di fondi italiani o stranieri è facile, è più difficile invece partire dal piccolo e riuscire a sostenere la crescita di quell’impresa. Io conosco tantissime micro iniziative che sono diventate di un certo peso e di una certa dimensione, perché tra l’altro gli italiani hanno una buona creatività, gli italiani sono immaginifici, arrivano sempre 10 minuti prima degli altri, qualche volta arrivano prima ma vengono fagocitati da chi ha poi le risorse per dare gambe ai progetti, però l’Italia è un Paese di grande creatività e quello che voi fate è sostenere questa creatività. Poi come dire i numeri sono numeri, io ho visto i vostri dati anche attraverso le analisi che noi abbiamo fatto negli anni scorsi sul sistema del microcredito e ogni vostro intervento riesce a mettere in moto la creazione di 2 posti, 2 posti e mezzo di lavoro, questo mi sembra un dato determinante. Io poi sono sempre stato contro le politiche dei grandi kombinat…. nei giorni scorsi ho rilanciato una mia vecchia idea “smantelliamo Frankenstein”, abbiamo speso centinaia di miliardi prima di lire e adesso di euro per mantenere in piedi dei kombinat, dei mostri, che hanno deturpato il territorio, guardi io sono sardo di origine e ho assistito alle devastazioni di Frankenstein nel corso degli anni, penso agli insediamenti industriali, penso alla Silvi di Porto Torres dove con il sostegno dello Stato sono stati spesi miliardi, è stato creato un apparato di raffinazione del petrolio enorme, sono stati assunti 5mila tra pastori e contadini trasformati in tute blu, dopo qualche anno le tute blu sono state trasformate in cassintegrati e dopo qualche anno ancora in disoccupati e adesso ci ritroviamo con dei mamozzoni incredibili che hanno rovinato e inquinato una buona parte del nord della sardegna e adesso non sappiamo più che farci, quindi l’impegno che io proporrei allo Stato è investiamo per smontare tutti questi Frankenstein. Bonifichiamo quei territori e restituiamogli le loro naturali vocazioni, che sono la produzione agricola, il turismo, l’ospitalità, così facendo potremmo dare lavoro a molte persone perché 5 anni per smontare tutto, 5 anni per bonificare tutto, 5 anni per ricostruire e rimettere a posto tutto, sono 15 anni di lavoro e non avremmo neanche il problema della disoccupazione.
Quindi più bellezza e meno Ilva?
Sì più bellezza e meno Ilva non c’è dubbio, questo è il Paese più bello del mondo pensare che possa diventare più bello con qualche stabilimento industriale mi sembra difficile, l’Ilva rappresenta un errore strategico della nostra classe dirigente, l’Ilva di Taranto vede non è uno stabilimento nella città è la città che fa parte dello stabilimento, quindi esattamente il contrario è una città dentro uno stabilimento e quali siano stati danni non spetta a me ricordarlo ma insomma sono davanti agli occhi di tutti. Questo sempre con l’idea dell’autarchia, noi dobbiamo essere in grado di produrre l’acciaio, un tempo l’acciaio serviva per costruire le cannoniere, oggi le cannoniere non servono più a niente perché basta un drone per bombardare, non c’è più bisogno di tutto questo acciaio e poi come direbbero i francesi “chacun a sa plus” tu cosa fabbrichi? L’Acciaio? Sei Tedesco? Il tuo territorio non è particolarmente bello? Non è particolarmente ospitale? Persino i romani hanno rinunciato a conquistarla tutta la Germania! Si sono fermati a un certo punto e hanno detto basta oltre non vogliamo andare! Fai produrre l’acciaio ai tedeschi, tu in cambio quale economia puoi sviluppare? Quella dell’arte, della cultura, del turismo, tu produci l’acciaio e poi vieni in vacanza in Italia, noi ti ospitiamo magnificamente, un tempo ci portavi i tuoi marchi, adesso gli euro, quello che ti pare, ma insomma io credo che ogni territorio, ogni Paese, debba mettere a frutto le proprie vocazioni naturali, le proprie bellezze naturali, le proprie capacità. Noi siamo un Paese unico al mondo e non diventeremo più bello perché avremmo qualche kombinat industriale in più.
L’ultima domanda Presidente. L’Italia al centro dell’Europa, al centro dell’America, Russia e Cina, verso chi ci sbilanceremo?
Noi non abbiamo bisogno di sbilanciarci, noi dobbiamo essere europeisti perché siamo tra l’altro tra i creatori e i fondatori dell’Europa, ma allo stesso tempo siamo anche atlantici perché la nostra storia è segnata dalla nostra vocazione atlantica, dopodiché siccome siamo anche un Paese come dire al centro del Mediterraneo con interessi economici e culturali di ampio raggio dobbiamo tenere buoni i rapporti con tutti, con i russi e con i cinesi, senza dimenticare che prima di tutto viene l’Europa, viene la costruzione e il rafforzamento dell’Europa. In seconda battuta non possiamo dimenticare la nostra tradizione atlantica e in terzo luogo dobbiamo mettere a frutto la nostra capacità di dialogo, noi siamo bravi a dialogare con tutti, basta pensare a Matteo Ricci o basta pensare alla costruzione di quella che un tempo si chiamava Leningrado, basta pensare a Pietro il Grande che attingeva a piene mani nel nostro artigianato, nella nostra capacità creativa, basta pensare ai nostri rapporti con i Paesi del Mediterraneo con i quali noi siamo gli unici in grado di dialogare con una certa dimestichezza, quindi siamo pure un po’ Arabi, se Lei mette una canzone del folklore napoletano e la fa sentire ad un americano quello è convinto che si tratta di una registrazione effettuata in Medio Oriente. Noi dobbiamo mettere a frutto le nostre doti e le nostre capacità di interagire e di dialogare perché siamo portatori di una cultura antica, millenaria. Come dire, si possono avere rapporti con tutti l’importante è non dimenticare la propria identità. E solo chi ha una forte identità come abbiamo noi si può permettere il lusso di dialogare con tutti, russi, americani, cinesi e poi insomma i nostri amici storici non si devono offendere se noi ogni tanto ci prendiamo qualche libertà ecco.
Trump o Biden?
Secondo me non c’è dubbio! Sicuramente Biden, Trump è la negazione della politica e l’affermazione dell’egoismo sociale ed economico più bieco, quindi io sono felicissimo per la vittoria di Biden, perché è una persona moderata, è una persona attenta ed è soprattutto una persona rispettosa delle identità altrui.