VERSO LA TRANSIZIONE ENERGETICA, PER L’EMERGENZA SIA NAZIONALE CHE GLOBALE

Print Friendly, PDF & Email

Astrid Mahe

Ricercatrice di Studi Internazionali

La consapevolezza ambientale è un fenomeno arrivato tardi rispetto alla liberalizzazione del commercio.

Infatti, è un processo legato alla globalizzazione.

Fenomeno che ha conosciuto una spinta esponenziale negli anni 80 con la liberalizzazione del commercio.

Negli ultimi anni questa consapevolezza si è rafforzata, sviluppando inoltre i termini per definire gli obbiettivi da raggiungere e i ministeri collegati.

Recentemente parliamo principalmente di «transizione energetica» e di «sviluppo sostenibile», o ancora di «economia verde».

I termini sono cambiati ma l’emergenza cresce.

Ma come gestirla? Chi sono i protagonisti?

Quale la scala più adatta per portare ad uno sviluppo sostenibile?

Per capirlo il nostro studio si dividerà

in una prima parte sull’approccio sopranazionale,

un’altra sul caso della Francia e infine su quello dell’Italia,

per poi far emergere alla fine le loro similitudini e le differenze.

Sommario

  1. Un’iniziativa sopranazionale

1.1 Storia di una soluzione comunitaria

1.2 Un esempio di strumenti Europei: Il

Command and Control Instrument

e il Market-Based Instrument

1.3 Una competenza condivisa

1.4 Quali strumenti finanziari per questi

obbiettivi ambientali?

  1. Una sfida nazionale
  2. Il caso dalla Francia: un precursore?

3.1 Una legge prima della COP21

3.2 Ma cosa è la transizione energetica e

quale il ruolo di questo Ministero?

3.3 Quali misure sono state individuate in

Francia per avviare la transizione energetica?

3.4 Obiettivi

3.5 Risultati? Transizione efficace?

4 Il caso dell’Italia

4.1 La sociologia indissociabile dalla

problematica della transizione energetica

4.2 Il ruolo fondamentale dei protagonisti

4.3 L’Italia nella transizione energetica:

un Paese in anticipo

4.4 Nuovo decreto, nuovo Ministero?

1 Un’iniziativa sopranazionale:

Inizialmente sono state le grandi conferenze come quella realizzata dal Club di Roma nel 1972 con il suo rapporto “Limits to Growth”, la convenzione dell’ONU del 1992 o ancora il protocollo di Kyoto del 1997 che hanno portato alla “coscienza ambientale”. Hanno dato le grandi linee da seguire e gli obbiettivi da raggiungere, ma i risultati non sono stati rilevanti. Infatti, ad un livello internazionale era difficile imporre le stesse regole, abbiamo dovuto aspettare l’accordo di Parigi del 2015 per riuscire ad avere una risposta internazionale giusta e incoraggiante. Questo bisogno di diminuire le emissioni per evitare conseguenze gravissime come uragani, tifoni o incendi legate al cambiamento climatico ha portato gradualmente a soluzioni «regionali», cioè a livello Europeo e nazionale.

1.1 Storia di una soluzione comunitaria

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea ha messo al centro delle sue priorità la politica ambientale permettendo un aumento dei fondi europei destinati a questo settore. Questa preoccupazione europea risale dalla costruzione dell’Europa e gradualmente l’Unione si è vista attribuire un certo numero di nuove competenze. Come? In effetti, nel 1986 con l’Atto Unico l’Unione si vede attribuire per la prima volta una competenza specifica sulla problematica ambientale e sarà qualche anno dopo ribadito nel trattato di Maastricht del 1992. Nel 1997 con il trattato di Amsterdam vedremo per la prima volta una definizione chiara del così detto “sviluppo sostenibile”. Nel trattato di Lisbona del 2009 saranno aggiunti gli obbiettivi di lotta contro il riscaldamento climatico e di promozione di misure per risolvere i problemi sia regionali che internazionali ambientali, e l’attribuzione della competenza condivisa all’ambiente. Infine, come introdotto prima, l’attuale presidente della Commissione Europea vuole essere il precursore mondiale della transizione energetica, per farlo ha votato l’European Green Deal del 2019 che comprende, tra l’altro, 100 miliardi di euro all’anno per una transizione equa e la neutralità climatica entro il 2050. Il carattere rivoluzionario di questo piano non si limita alla neutralità climatica ma si estende all’innovazione verde, all’economia circolare, creare industria e trasporti sostenibili, ecc. Un nuovo modo di vivere in cui dalla produzione passando al trasporto e infine arrivando al consumo l’impronta ecologica sia quasi nullo. Per raggiungere questi nuovi obbiettivi il 25% del budget europeo sarà legato agli obbiettivi di transizione energetica. Per parlare di transizione energetica si deve quindi parlare di Unione Europea.

1.2 Un esempio di strumenti Europei: Il Command and Control Instrument e il Market-Based Instrument

Nel 2005 l’Unione Europea ha messo in atto l’European Trade System (ETS), un sistema di scambio di quota di emissioni di gas ad effetto serra. All’inizio questo sistema era distribuito per settore ed è stato un fallimento. Perché? L’impatto della scala della politica ambientale può essere molto significativo nell’efficienza dello strumento. In effetti, il “Command-And-Control instrument”, impostando uno standard di emissione uniforme, permette di superare il problema di asimmetria di informazione. Questo problema è tanto più elevato quanto più diminuisce la cooperazione tra i paesi. Utilizzare uno strumento di tipo “Market-Based” può in questo caso portare al fallimento della politica ambientale. Per mostrare l’importanza della scelta delle scale possiamo prendere quest’esempio dei permessi ad inquinare, gli ETS. Questi permessi danno all’impresa la possibilità di inquinare in base alle sue capacità produttive. Riguardo al prezzo, un’impresa può scegliere di investire in una tecnologia più verde o di comprare altri permessi sul mercato. Questa convenienza, questa flessibilità è una caratteristica del Market-Based instrument. Durante i periodi successivi, 2005/2007 e 2008/2012, questi permessi erano distribuiti per settore. Quello che potremmo definire ad una scala “locale” è stato un fallimento, soprattutto nel periodo 2005/2007 dovuto ad un’asimmetria di informazione. Invece, quando la scala è cambiata, nel periodo 2013/2020, quando il tetto è diventato europeo, con l’introduzione di un sistema di asta, lo strumento Market-Based è stato efficace nella diminuzione delle emissioni. La politica ambientale ha diversi strumenti e devono essere utilizzati a prescindere della loro efficacia.

1.3 Una competenza condivisa

Nonostante questo successo europeo, una cooperazione tra la scala europea e la scala nazionale è necessaria. Per questo motivo nel trattato di Lisbona, come introdotto prima, è stato attribuita la competenza condivisa all’ambiente. In cosa consiste? Nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) sono state definite le tre competenze dell’Unione: esclusiva, condivisa e di supporto. Essere una competenza condivisa significa che gli Stati possono legiferare laddove l’Unione Europea non è intervenuta, la competenza è condivisa tra l’Unione Europea e gli Stati membri. Inoltre, l’Unione può esercitare la sua competenza se, e solamente se, i Paesi membri non sono in grado di farlo ma senza superare il necessario per raggiungere gli obbiettivi del trattato. Questo corrisponde ai principi di proporzionalità e di sussidiarietà che accompagnano la competenza condivisa. Le differenze strategiche nelle politiche ambientali che esistono tra i diversi Paesi europei nascono da questa competenza. I ministeri nazionali hanno una competenza propria che gli permette di legiferare sul territorio nazionale. Ma come sono condivise queste competenze? Quali sono attribuite all’Unione Europea? La politica ambientale a livello europeo è definita nel TFUE, però l’azione in se stessa per gli anni 2021-2030 si basa sul «programma di azione per l’ambiente» con gli obbiettivi di: «preservazione del capitale naturale», «trasformazione dell’UE in un’economia priva di carbone», e «protezione della salute e del benessere dell’uomo». A questi obbiettivi si aggiunge il «Patto verde», anche detto «European Green Deal» che abbiamo introdotto prima, con i suoi obbiettivi di neutralità del carbone entro il 2050 o ancora di sviluppo attraverso un’economia verde per la giustizia sociale.

1.4 Quali strumenti finanziari per questi obbiettivi ambientali?

Dal 1992 sono stati finanziati circa 4500 progetti dall’Unione Europea. Per raggiungere i diversi obbiettivi gli strumenti finanziari si sono moltiplicati e adattati alle nuove esigenze. Lo strumento europeo principale consacrato all’ambiente è il programma LIFE e comprende due pilastri: l’ambiente e l’azione climatica. Per il periodo precedente, il programma si era visto attribuire 3,4 miliardi di euro. Inoltre, come anticipato prima, l’UE ha come obbiettivo di concedere il 25% del suo budget totale all’ambiente e alla lotta contro i cambiamenti climatici. L’ambiente comprende diversi settori, come quello dell’agricoltura, e beneficia anche dell’aiuto finanziario dei fondi attribuiti a questi settori come la PAC o ancora il FEDER. Inoltre il sistema introdotto prima di ETS permette pure di finanziare questi progetti con il sistema di “chi inquina, paga” e creare così un incentivo ad inquinare meno ed investire nelle energie verdi. Per accelerare la transizione energetica l’Unione Europea investe inoltre nelle ONG che lavorano sulla causa ecologica.

Inoltre nel luglio 2020 il Consiglio Europeo ha creato “nuove proprie risorse ambientali” come la tassa sulla plastica non riciclabile per finanziare i progetti. Più in generale, il Consiglio Europeo prevede un finanziamento di 400 miliardi di euro per preservare le risorse naturali e l’ambiente per il periodo 2021-2027.

Come possiamo vedere, al livello europeo ci sono diversi attori come il Consiglio, la Commissione, o ancora le ONG che permettono un’azione congiunta per permettere una soluzione sostenibile. Però l’azione nazionale rimane necessaria e gli obbiettivi sono diversi da un Paese all’altro. Ogni Paese ha proprie esigenze e la propria cultura, per cui le decisioni dipendono dai ministri nazionali.

2 UNA SFIDA NAZIONALE

Dall’Accordo di Parigi del 2015 durante la COP 21 la transizione energetica è diventata la sfida dei prossimi decenni. Il suo obbiettivo principale è di limitare il riscaldamento climatico sotto i 2°c. Per permetterlo i Paesi hanno un ruolo fondamentale. Infatti alla fine dell’anno 2020 i Paesi hanno dovuto dare il loro piano di azione climatica chiamato “contributi nazionali determinati” (NDC). In questo piano di azione (NDC) i Paesi spiegano le misure che prenderanno per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra per rispettare gli obbiettivi dell’Accordo di Parigi. A questi NDC si aggiungono le non obbligatorie strategie di sviluppo a lungo termine a basse emissioni di gas ad effetto serra (LT-LEDS). Le istituzioni nazionali responsabile del buon svolgimento di questa transizione sono i ministeri.

3 IL CASO DALLA FRANCIA:

UN PRECURSORE?

3.1 Una legge prima della COP21

La Francia, primo Paese ad aver utilizzato il termine di “sviluppo sostenibile” è molto coinvolta nella transizione energetica. Infatti, già pochi mesi prima dell’accordo di Parigi, il 17 agosto 2015, ha votato una legge intitolata “Transizione energetica per la crescita verde” divisa in otto titoli:

- Definire gli obbiettivi comuni per riuscire la transizione energetica, rinforzare l’indipendenza energetica e la competitività economica della Francia, conservare la salute umana e l’ambiente e lottare contro il riscaldamento climatico.

- Meglio ristrutturare gli edifici per risparmiare l’energia, abbassare le fatture e creare posti di lavoro.

- Sviluppare i trasporti puliti per migliorare la qualità dell’aria e proteggere la salute.

- Lottare contro gli sprechi e promuovere l’economia circolare: dalla concezione dei prodotti al loro riciclaggio.

- Favorire le energie rinnovabile per diversificare le nostre energie e valorizzare le risorse dei nostri territori.

- Rafforzare la sicurezza nucleare e l’informazione dei cittadini.

- Semplificare e chiarire le procedure per guadagnare in efficacia e in competitività.

- Dare ai cittadini, alle imprese, ai territori e allo Stato il potere di agire insieme.

Inoltre, possiamo vedere l’impegno francese in questa lotta nella sua forma più semplice: il nome del suo Ministero. Infatti, chiamato prima Ministero dell’Ecologia, sarà rinominato nel 2017 Ministero della Transizione Ecologica e Solidaria e finalmente nel 2020 sarà intitolato il Ministero della Transizione Ecologica.

3.2 Ma cosa è la transizione energetica e quale il ruolo di questo Ministero?

La mancanza di risorse, come il petrolio, aggiunto all’aumento del prezzo e del riscaldamento climatico marcano il carattere indispensabile di trovare un modello energetico sostenibile. La transizione energetica considera tutta la società. Le imprese, i cittadini e la collettività sono attori della transizione energetica. In effetti, per lottare contro il riscaldamento climatico devono essere promossi degli sviluppi nei modi di produzione e di consumo. La transizione ecologica ha delle sfide economiche, di competitività e di occupazione. Infatti, il mercato del lavoro si deve adattare, le evoluzioni tecnologiche devono essere favorite e la società civile deve essere parte integrante di questa mobilizzazione. Il mercato sarà certamente cambiato, ci saranno nuovi mercati creati ed altri che ne soffrono. Per una Transizione equa il Ministero della Transizione deve prendere in considerazione questa tensione sociale.

Il Ministero della Transizione ecologica ha per titolare dall’anno scorso la Dottoressa Barbara Pompili. Come definito nel decreto n°2020869 (15 luglio 2020) deve preparare e avviare le politiche dello Stato nei settori dello sviluppo sostenibile, dell’ambiente e delle tecnologie verdi, della transizione energetica e dell’energia, del clima, della prevenzione dei rischi naturali e tecnologici, della sicurezza industriale, dei trasporti e delle loro infrastrutture, delle attrezzature, della valorizzazione della natura, della biodiversità e del mare.

Inoltre, elabora e mette in opera la politica di lotta contro il riscaldamento climatico e l’inquinamento atmosferico, promuove la gestione sostenibile delle risorse rare, si occupa della promozione e dello sviluppo dell’economia sociale e solidaria, ed è responsabile delle relazioni internazionali sul clima. Infatti, rispetto all’ultima responsabilità, il Ministero guida le negoziazioni europee ed internazionali sul clima ed è attento alla messa in opera degli accordi conclusi con il Ministero dell’Europa e degli Affari Esteri.

Infine, senza elencare tutti i settori, il Ministero della Transizione ecologica francese conduce delle politiche pubbliche in 30 settori, andando dalla finanza e fiscalità verde, passando dall’accesso all’alloggio o ancora dall’energia.

3.3 Quali misure sono state individuate in Francia per avviare la transizione energetica?

Le misure individuate hanno diverse origini.

In generale la Francia, come la maggiore parte degli altri Paesi, ha adottato le seguenti misure: lo sviluppo della produzione di energia a base di risorse rinnovabili, la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la riduzione del consumo globale d’energia e la creazione di posti di lavoro.

Tra l’altro ci sono le misure previste nel Piano Nazionale di Adattazione ai Cambiamenti Climatici (PNACC) francese. Siamo attualmente nel PNACC-2 per il periodo 2018-2022, il piano nazionale adatto alle esigenze individuate nell’Accordo di Parigi. Queste politiche pubbliche hanno per obbiettivo di limitare gli impatti dei cambiamenti climatici attraverso politiche pubbliche. Anticipano i possibili impatti ad aspettare del cambiamento climatico, di limitare loro effetti eventuali. La Francia è uno dei Paesi più avanzati in materia di pianificazione dell’adattazione al cambiamento climatico.

Inoltre, ci sono le misure previste dal Ministero della Transizione Ecologica sotto forma di legge. In primo luogo c’è la legge anti-spreco per un’economia circolare che intende cambiare i modelli di produzione e consumo per limitare i rifiuti, preservare le risorse naturali ecc;

in secondo luogo c’è la protezione della biodiversità, cioè tutti gli ambienti naturali e forme di vita. La biodiversità è fondamentale perché è fonte di ossigeno, cibo ecc. Per finire c’è la legge orientazione dalle mobilità (dicembre 2019) che intende avere trasporti del quotidiano: più semplice, meno costosi e più puliti. Per farlo è stato messo in opera un investimento di 13,4 miliardi di euro per il periodo 2017-2022.

Infine, la conferenza dell’8 febbraio 2021, composta dal ministro dell’Economia (Franz Fayot), dal ministro dell’Ambiente, del Clima e dello Sviluppo Sostenibile (Carole Dieschbourg) e dal ministro dell’Energia ha condotto alla strategia nazionale “Economia Circolare”. Questa strategia identifica metodi per stimolare l’innovazione che sono: la regolamentazione ed i standard, gli aspetti finanziari (incentivi, sussidi ecc), e la gestione delle conoscenze (educazione, formazione).

La Francia ha un ruolo di Paese precursore in termini di integrazione reciproca delle politiche ambientali e quelle di sviluppo di competenze. Questa adeguazione tra le attività ambientale e le competenze dei lavoratori fa parte delle preoccupazioni delle organizzazioni internazionali ed europee.

3.4 Obbiettivi

Una parte degli obbiettivi francesi in materia di transizione energetica si trovano nella legge vista prima, intitolata “transizione energetica per la crescita verde”, che possiamo elencare come segue:

Il primo obbiettivo concerne le emissioni di gas ad effetto serra e comprende: la riduzione dei gas ad effetto serra dal 40% tra 1990 e 2030, che le emissioni ad effetto serra siano divise per 4 tra 1990 e 2050 , il rinnovo delle flotte pubbliche, con l’integrazione di veicoli a basse emissioni e la creazione di 7 milioni di punti di ricarica per i veicoli elettrici per indurre i conducenti ad investire in veicoli più verdi.

Il secondo obbiettivo riguarda il consumo di energia, per cui è stato individuato lo scopo della riduzione del consumo energetico finale di 30% entro 2030 e di 50% entro 2050 rispetto ai dati di 2012, della riduzione del consumo energetico primario di energie fossili del 30% e dell’aumento della quota delle energie rinnovabili al 30% del consumo finale lordo di energia entro 2030.

Poi c’è l’obbiettivo attorno alla produzione di elettricità che deve portare la parte dal nucleare nella produzione di elettricità dal 75% al 50% entro il 2025.

Il quarto obbiettivo riguarda gli edifici e gli alloggi. L’intervento è basato sulla lotta contro la precarietà energetica delle famiglie, il bisogno di assicurarsi che il parco alloggi sia in conformità con le norme degli edifici a basso consumo entro il 2050 e di favorire la costruzione di edifici nuovi ad energia positiva.

Inoltre, il penultimo obbiettivo è la gestione dei rifiuti. Infatti è stato deciso il carattere urgente della riduzione della quantità dei rifiuti portati in discarica entro il 2025 e della riduzione del consumo delle materie primarie

Infine, l’ultimo obbiettivo è dedicato al settore dell’occupazione con la creazione di posti di lavoro pari a 200 000 (principalmente nel settore delle energie) entro il 2030.

3.5 Risultati? Transizione efficace?

Il primo bilancio energetico della Francia pubblicato in aprile 2020 ha messo in luce l’efficacia degli obbiettivi fissati studiando l’anno 2019 rispetto all’anno precedente.

Infatti, in primo luogo possiamo concludere che nell’anno 2019, la produzione di energia primaria in Francia è diminuita del 2,7% rispetto al 2018, cioè 134,3 Mtep(megatone equivalente petrolio). Grazie alla diminuzione del 3,4% della produzione nucleare e ad una migliora efficacia energetica.

In più, il livello della produzione primaria di energia rinnovabile elettrica in Francia è passato a 8,9 Mtep. Corrispondendo ad un abbassamento di -0,8%. C’è stato un aumento della produzione eolica (+21%) e fotovoltaica (+7%) ma una diminuzione di quella idraulica (-12%), principalmente grazie a delle condizioni meteorologiche favorevoli.

Il terzo punto da evidenziare è che la fattura energetica si è abbassata di 1,4 miliardi di euro in un anno, passando a 44 miliardi di euro.

Inoltre, il consumo di energia primaria è passato a 245,5 Mtep cioè una diminuzione di 1,4% in un anno.

Il quinto punto da sottolineare riguarda il consumo residenziale, in altri termini dei privati. Infatti, nel bilancio energetico ci accorgiamo che questo consumo rappresenta 39,1 Mtep. Sia un aumento di 0,2% in dati lordi ma una diminuzione della stessa percentuale in dati correlati alle variazioni climatiche.

Per quanto riguarda i privati, il loro consumo di energie rinnovabili sono in aumento sostenuto. In effetti, loro consumo aumenta di 3,3%.

Per quello che concerne i trasporti, osserviamo una diminuzione dello 0,6% di energia proveniente da prodotti petroliferi, passando al 90% dell’energia utilizzata per il trasporto. Allo stesso tempo i biocarburanti progrediscono di 1,8%, man mano che la loro efficacia energetica si afferma.

Una cifra importante da considerare: -1,1%. L’abbassamento di emissioni di CO2 nel 2019 a clima costante.

Infine, affinché la transizione sia efficace, ci dobbiamo ricordare che per mantenere il riscaldamento climatico sotto i 2°c entro il 2100, le emissioni di gas ad effetto sera debbono essere tagliate dell’80% entro il 2050, per raggiungere il famoso 0 entro il 2100 al massimo.

4 IL CASO DELL’ITALIA

Ogni Paese dispone di una strategia energetica nazionale. Per rilanciare la transizione energetica l’Italia ha messo in opera una nuova strategia energetica per permettere di essere in linea con l’Accordo di Parigi e con il Pacchetto Clima-energia del 2030 dell’Unione Europea. L’Italia ha deciso di riavviare la sua transizione energetica all’inizio dell’anno 2018. Infatti, tra il 2008 e il 2013 l’Italia aveva sviluppato molto le energie rinnovabili, per poi stagnare.

Tra l’altro, ogni Paese per avviare bene questa transizione deve mettere in conto delle componenti sociali. Per parlare della transizione ecologica c’è bisogno di parlare di sociologia. Questa necessita se vede pure negli atteggiamenti dei protagonisti della transazione energetica.

4.1 La sociologia indissociabile dalla problematica della transizione energetica

La transizione energetica è una problematica che rileva in maggiore parte dal sapere sociologico. Dalla governance passando alla giustizia sociale per finire agli impatti ambientali; le scelte e i costi sono sociali.

Il livello locale, la collaborazione dei territori o l’accettabilità sociale delle tecnologie come il nucleare sono domande sociali. Infatti, vediamo differenze sociale tra Paesi con l’esempio del nucleare. In Francia il nucleare è una fonte di energia molto importante, anche se, come visto prima, è condannata a diminuire, mentre in Italia è stata rifiutata con il referendum. Il nucleare è una fonte di energia pulita però c’è un alto livello di rischio che deve essere preso in conto.

L’energia è una sfida sia politica che di società. L’urgenza di ridurre le conseguenze sociali e economiche dovuto ai cambiamenti climatici e la diminuzione delle fonti fossili necessitano di riflettere a delle scelte energetiche, a delle forme di produzione e ai modi di vita più ragionevoli.

Dal 1900 le emissioni di CO2 aumentano. Diminuiscono solo in tempo di crisi (1930, 1945, 1980, 2008 e oggi). Come convincere tutta la società ad andare verso un’economia « green » e in modo costante?

Il sapere sociologico vuole spiegare o capire un fenomeno sociale. Abbiamo scoperto i danni che provochiamo all’ambiente e capito che dobbiamo trovare un modo per produrre così tanta energia, consumarne meno ma assicurando lo stesso livello di comfort.

Infatti, la visione sociologica si deve combinare alla visione tecnologica e generale. Non dobbiamo dimenticare di mettere l’uomo al centro della problematica.

4.2 Il ruolo fondamentale dei protagonisti

Le tre fonti maggiori di inquinamento sono la produzione, il trasporto e il consumo. Ognuno di questi protagonisti deve comprendere la visione sociologica per permettere la transizione il più veloce possibile.

Per quello che riguarda la produzione, le imprese di energia come Eni hanno preso la decisione di essere protagonisti di questa rivoluzione. Infatti, lo hanno dimostrato attraverso trasformazioni interne come i processi di decarbonizzazione. Certe imprese hanno connesso il ciclo della materia primaria al consumo finale. Il consumatore deve ricevere un prodotto decarbonizzato. L’impegno dei produttori come Eni nella transizione energetica italiana si è anche vista nella conversione in bio-raffineria nel 2014 nella Laguna di Venezia. Di più, l’obbiettivo di ENI è fornire prodotti 100% decarbonizzati ai consumatori e raggiungere la neutralità tecnologica.

I produttori, come protagonisti, hanno la responsabilità di cambiare il modo di vita economico in un mondo che cambia e deve integrare certi paradigmi di produzione di energia.

La seconda fonte principale riguarda il settore del trasporto. Infatti, sono responsabili di ¼ delle emissioni di gas ad effetto serra dell’UE (e impatto in crescita). Questo settore rimane però dipendente di carburanti verdi di tipo bio-jet non ancora abbastanza sviluppati in certi modi di trasporto come quello dell’aereo. Comunque, bisogna ridurre del 90% le emissioni di trasporto entro il 2050 e quindi adottare alternative di mobilità economica accessibili e pulite. È la ragione per cui la Commissione Europea ha adottato «la mobilità intelligente e sostenibile » per rendere il trasporto uno dei protagonisti di questa transizione.

L’ultima fonte di inquinamento è il consumo. Il consumatore non ha un comportamento specifico da adottare, paga per un prodotto verde per forza, prodotto da imprese che hanno fatto l’investimento. I consumatori vedono « solo » includere nel prezzo del prodotto quello di quest’investimento. Da una parte sono protagonisti, anche senza volerlo, ma con la consapevolezza ambientale, essendo crescente, vediamo da qualche anno un aumento della disponibilità della gente a pagare di più per un bene verde.

4.3 L’Italia nella transizione energetica: un Paese in anticipo

Come introdotto prima l’Italia ha molto sviluppato l’energia rinnovabile tra 2008 e 2013 e, a tale punto che, indipendentemente dagli obbiettivi previsti dalla strategia energetica nazionale, l’obbiettivo europeo per 2020 di 17% di parte di rinnovabili nel consumo finale di energia è stato raggiunto in 2015.

La strategia energetica nazionale italiana a per obbiettivo di sovrappassare gli obbiettivi europei di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per 2030, tra l’altro molto dovuto alla chiusura di centrale di carbone. Per quanto riguarda gli ETS (European Trade System), l’obbiettivo europeo per 2030 sarà pure superato, e da tanto, diminuendo di 57% contro i 43% richiesti.

La decisione di uscire del carbone per 2025 è una delle ragione maggiore dell’abbassamento veloce delle emissioni di gas ad effetto serra. Però questa scelta necessità investimenti di 16 miliardi di euro. Costo da relativizzare rispetto al costo totale delle Strategica Energica Italiana (SEN) di 175 miliardi di euro. L’obbiettivo energetico per 2025 italiano si riferisce quindi al carbone quando quello francese alla diminuzione dell’uso dell’energia nucleare. Gli obbiettivi dei Paesi possono essere quindi simili a quanto si riguarda al mix energetico ma con modi diversi per via di culture energetiche diverse.

Inoltre, la transizione energetica dovrebbe creare in Italia 1 milione di posti di lavoro entro 2050, sia il 20% delle nuove posizioni che nasceranno nell’Unione. Mentre l’obbiettivo per 2030 in Francia si limita alla creazione di 200 000 posti di lavoro.

Si è registrato un abbassamento continuo nell’uso dei combustibili non rinnovabili che sono arrivati a 9,2 Mtep in 2018, sia 46% di meno che durante 2006-2007. A questo calo si aggiunge un aumento del contributo delle fonte rinnovabili che sono pari a 35,5 Mtep in 2018 (+11,4% rispetto a 2017).

Di più, in Italia, in 2019, la produzione delle fonti rinnovabili à crescita dell’1,3% rispetto al 2018. Nello stesso periodo, l’Italia a pure conosciuto un certo andamento nelle installazioni di rinnovabili di circa 58 GW. In fatti, il fotovoltaico è cresciuto di 600 MW, l’eolico di 400 MW, idroelettrico di 21,9 GW e il geotermico di 400 MW.

Inoltre, la fattura energetica dell’Italia di 2019 si è diminuita di 3,2 miliardi di euro rispetto a 2018. Passando a 39,6 miliardi. Confronto alla Francia, l’Italia è un passo in avanti. La sua fattura energetica è più bassa di più di 4 miliardi e diminuisce più veloce.

Tuttavia, nella SEN la diminuzione di gas ad effetto serra prevista per 2050 è pari a 63% bensì l’obbiettivo come proposto dalla Commissione Europea sia di 80%. Questa strategia si basa su uno sviluppo tecnologico per raggiungere l’obbiettivo.

Per finire, possiamo introdurre il fatto che la tassa carbone è uno strumento chiave per lottare contro il riscaldamento climatico e che la Francia ne ha adottato una legislazione ma l’Italia no. Questa tassa è basata sul principio fondamentale di chi inquina paga. È una misura necessaria per incoraggiare verso la transizione ecologica, magari sarà una delle priorità del nuovo Ministero?

4.4 Nuovo decreto, nuovo Ministero?

Mentre in Francia il termine di transizione ecologica esiste da 2017 nel Ministero, in Italia abbiamo dovuto aspettare febbraio 2021 e il governo tecnico dell’europeista Mario Draghi per abbandonare il Ministero dell’Ambiante e creare il primo Ministero della Transizione Energetica.

Questo nuovo Ministero inoltre di riprendere le competenze dell’ex Ministero dell’Ambiente, se vede attribuire competenze più specifiche alla transizione energetica come il settore dell’energia.

Ad essere messo in testa di questo nuovo Ministero è stato il fisico Roberto Cingolani chi ha dichiarato fare il massimo per : “guidare la transizione dell’Italia verso un futuro a emissioni zero”. Questo Ministero si è visto attribuire 37% dei 209 miliardi di euro del piano europeo di ripresa economica. Il suo scopo principale è di coordinare le politiche nazionali per la transizione ecologica. Più precisamente, il suo obbiettivo è di: « coordinare le politiche in materia «di mobilità sostenibile, contrasto al dissesto idrogeologico e al consumo del suolo, risorse idriche e relative infrastrutture, qualità dell’aria ed economia circolare, individuando le azioni, le misure, le fonti di finanziamento, il relativo cronoprogramma, nonché le amministrazioni competenti all’attuazione delle singole misure.»

Questo Ministero essendo nuovo e pieno di promesse per il futuro delle giovani generazioni, dotato di tanti fondi, aspettiamo con un grande interesso le sue future azione

Print Friendly, PDF & Email
© 2019 Rivista Microfinanza. All Rights Reserved.