AZIONI POSITIVE E MICROCREDITO. AFFINITÀ TELEOLOGICHE E PROSPETTIVE PRATICHE

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Rosaria Mustari

Consigliere di Amministrazione ENM

Il tema della parità di genere nei rapporti di lavoro è stato oggetto di diversi interventi normativi succedutisi nel tempo2, anche in attuazione di disposizioni europee, attualmente compendiati nel Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198 “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”.3

Tra questi, particolare rilevanza riveste la legge n. 125 del 10 aprile 1991, ”Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”4, con la quale è stato introdotto nel nostro ordinamento uno strumento molto efficace per la promozione della piena partecipazione delle donne a tutti i livelli nel mercato del lavoro.

Si tratta delle azioni positive5, rilevanti clausole generali che caratterizzano la normativa di genere e perseguono l’obiettivo prioritario della realizzazione dell’uguaglianza sostanziale, e non solo formale, tra lavoratori e lavoratrici.

Breve retrospettiva

In precedenza, la disciplina legislativa italiana constava principalmente delle disposizioni della legge 9 dicembre 1977, n. 903 “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, attuativa del dettato costituzionale, ma anche trasposizione sul piano nazionale delle direttive comunitarie sulla parità retributiva e sulla parità di trattamento nell’accesso al lavoro e nelle condizioni di lavoro 6.

La legge, finalizzata a creare i presupposti per una maggiore autonomia della donna sul piano personale, professionale ed economico, ha affermato il principio di eguaglianza formale7, imponendo un uguale trattamento tra i lavoratori dei due sessi. Più specificamente, il fulcro della disciplina è costituito dal divieto di ogni discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e all’orientamento professionale, il trattamento retributivo e previdenziale, l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni, e in generale la progressione di carriera, e le altre condizioni di lavoro. A presidio dell’effettività della tutela è stata introdotta la previsione di un’azione in giudizio contro le discriminazioni perpetrate anche in via indiretta8.

Benchè quanto mai necessaria, detta normativa si è rivelata ben presto insufficiente, in quanto, in concreto, nel mercato del lavoro, garantire il medesimo trattamento a uomini e donne non ha incrementato il lavoro femminile, né migliorato la posizione delle lavoratrici e inoltre “le disuguaglianze continuavano ad allignare sotto formulazioni normative apparentemente a carattere neutro”9.

Si è progressivamente imposta la consapevolezza della oggettiva situazione di “inferiorità” delle lavoratrici rispetto ai lavoratori, tale da rendere necessaria l’introduzione di una normativa di favore che, privilegiando le donne in quanto di fatto svantaggiate, riuscisse a colmare lo svantaggio di partenza (uguaglianza sostanziale).

Al fine di dare attuazione all’uguaglianza sostanziale e ai valori su cui si fondano gli articoli 3 e 37 della Costituzione, il legislatore del 1991 ha quindi introdotto lo strumento delle azioni positive, misure idonee che consentano in concreto il realizzarsi dell’uguaglianza effettiva tra lavoratori e lavoratrici.

L’origine delle azioni positive viene rinvenuta nella legislazione statunitense a partire dagli anni 60, allorché le politiche governative si posero l’obiettivo di contrastare le discriminazioni razziali mediante la trasposizione e l’utilizzo di misure tipicamente giudiziali, stabilite dalle corti a carico dei datori di lavoro responsabili di comportamenti discriminatori. Le affirmative actions10 sono state progressivamente adottate come strumenti amministrativi, sancendo, per esempio, l’obbligo per le imprese titolari di contratti di appalto con il governo federale di intraprendere piani di azioni a vantaggio della popolazione di colore, pena la perdita delle commesse già ottenute. Una volta sperimentata l’efficacia di una metodologia siffatta, se ne consolidò l’utilizzo allargando la prospettiva ed estendendone la portata, introducendo misure volte a garantire parità di diritti a prescindere dalla confessione religiosa, dall’origine nazionale e dal sesso11.

In Europa12, il Trattato di Roma del 1957, all’articolo 119, ha sancito “l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile”13. La visuale ristretta al profilo meramente retributivo è coerente con le finalità costitutive della Comunità Economica Europea e la ratio va rinvenuta nell’esigenza di eliminare le distorsioni della concorrenza in un mercato che ambiva a essere integrato.

A partire dagli anni ‘70, la Comunità Europea ha iniziato a emanare le prime direttive in materia di parità di retribuzione e di trattamento, in particolare la Direttiva del Consiglio 75/117/CEE del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile e la Direttiva del Consiglio 76/207/CEE del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro.

Si intravede un progressivo mutamento di prospettiva, reso possibile anche grazie all’opera della Corte di Giustizia14, poiché vengono in risalto gli scopi sociali della Comunità, sempre più inquadrata in una nuova dimensione, rivolta non soltanto al miglioramento delle condizioni di lavoro, ma allo sviluppo della persona in quanto tale, a prescindere dall’esercizio di un’attività economica.

La Raccomandazione del Consiglio del 13 dicembre 1984, n. 84/635/CEE muove dalla considerazione della inadeguatezza delle disposizioni normative esistenti in materia di parità di trattamento “per eliminare tutte le disparità di fatto”, per cui, “per controbilanciare gli effetti negativi risultanti per le donne, nel campo dell’occupazione, dagli atteggiamenti, comportamenti e strutture sociali” mira a promuovere azioni positive a favore delle donne, fornendone anche una prima definizione quali “misure di incoraggiamento delle assunzioni delle promozioni delle donne nei settori in cui esse sono sottorappresentate”.

La Raccomandazione configura le azioni positive quale strumento operativo della politica europea per promuovere la piena partecipazione delle donne, invitando gli Stati membri ad “adottare una politica di azione positiva intesa a eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nella vita lavorativa e a promuovere l’occupazione mista”, specialmente con un “incoraggiamento delle candidature, delle assunzioni e della promozione delle donne nei settori, professioni e livelli in cui esse sono sottorappresentate, in particolare ai posti di responsabilità”.

Non si tratta di una mera affermazione di principio, poiché vengono fornite rilevanti indicazioni pratiche, quali l’utilizzo nell’area della contrattazione collettiva15.

Si fa strada la consapevolezza della rilevanza centrale nell’azione comunitaria dell’obiettivo della realizzazione di pari opportunità tra uomini e donne, che viene configurandosi come assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale in base al sesso di appartenenza.

Orbene, come è noto, la rimozione di ostacoli siffatti costituisce il fulcro del patto fondante della convivenza civile dell’Italia repubblicana, e la Costituzione, all’art. 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”16

Le azioni positive in Italia

Il legislatore italiano, quindi, munito di così alto e ampio “programma d’intervento” espresso dalla normativa superprimaria, non avrebbe neanche avuto bisogno di attendere lo sprone comunitario17 per dare luogo a misure legittimanti un trattamento differenziato, tali da adeguare la legislazione alle esigenze emergenti in concreto a livello sociale e “neutralizzare le ricadute negative delle disparità fattuali sull’effettivo godimento dei diritti fondamentali”18.

La rimozione degli ostacoli predetti richiede infatti di intraprendere azioni positive per compensare gli svantaggi - si parla anche di “discriminazione positiva”19 - quindi il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale tra i cittadini legittima l’adozione di misure e di strumenti che riequilibrino le situazioni di svantaggio, attraverso misure di vantaggio poste in via esclusiva per gli appartenenti ai gruppi sfavoriti.

L’innovazione normativa del 1991 ha subito incontrato il favore della Consulta, che ha ravvisato nelle azioni positive “il più potente strumento a disposizione del legislatore che, nel rispetto della libertà e dell’autonomia dei singoli individui, tende a innalzare la soglia di partenza per le singole categorie di persone socialmente svantaggiate…al fine di assicurare alle categorie medesime uno statuto effettivo di pari opportunità di inserimento sociale, economico e politico… superare il rischio che diversità di carattere naturale o biologico si trasformino arbitrariamente in discriminazioni di destino sociale” 20.

Certamente, in forza dell’art. 3, comma 2, Cost. il legislatore può ben permettersi di “discriminare per eguagliare”21, per cui è evidente la perfetta legittimità di siffatti strumenti del diritto diseguale atti a realizzare l’eguaglianza sostanziale, peraltro pure ribadita e codificata dal nuovo testo dell’art.1 del Codice delle Pari Opportunità22: “il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato” (comma 3).

In una prospettiva costituzionalmente orientata, le azioni positive si caratterizzano come misure speciali - ovvero non generali ma specifiche e ben definite che, in deroga al principio di uguaglianza formale, si rivolgono a peculiari e determinati contesti, introducendo norme di favore ad hoc - e temporanee, in quanto necessarie fino a quando si rileva una disparità di trattamento tra uomini e donne23.

La nostra legislazione non fornisce una definizione analitica di azioni positive e non indica, neppure in via esemplificativa, una qualche tipizzazione; non un numerus clausus, bensì un genus aperto, il che lascia spazio alle più diverse tipologie di intervento, plasmabili in base alle esigenze di volta in volta considerate.

La disciplina è contenuta nel capo IV, “Promozione delle pari opportunità”, ove l’articolo 42, “Adozione e finalità delle azioni positive” recita:

  1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, nell’ambito della competenza statale, sono dirette a favorire l’occupazione femminile e realizzare l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
  2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:

a eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;

b favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l’orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione;

cfavorire l’accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;

d superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell’avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;

e promuovere l’inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;

f favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi;

f-bis valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile.

Alla stregua delle disposizioni in esame, possiamo concludere che è azione positiva qualunque intervento, misura, iniziativa, idonea a realizzare e a promuovere in concreto la parità effettiva tra uomini e donne e, ove volessimo tentare una qualche classificazione delle finalità indicate dal legislatore, potremmo al più distinguere azioni positive verticali, relative alla promozione dell’avanzamento femminile nelle gerarchie aziendali e nei ruoli di responsabilità (finalizzate a infrangere il cd. tetto di cristallo) e azioni positive orizzontali, finalizzate alla creazione di occupazione mista ed equilibrata in tutti i settori.

Esemplificazioni

In via esemplificativa, si può richiamare la casistica, peraltro anche ricorrente, dell’azione positiva consistente in un corso di qualificazione esclusivamente dedicato alle donne: la discriminazione nei riguardi degli uomini che viene conseguentemente a crearsi24 è soltanto apparente, poiché giustificata dalla considerazione che una iniziativa siffatta può consentire di colmare le distanze tra i due sessi nel campo dell’istruzione.

Ma certamente le esemplificazioni più significative possono essere rinvenute nella “filiazione legislativa” che la legge 125/91 ha prodotto, ovvero nelle norme che sono a essa sopravvenute e che ne costituiscono il portato applicativo più rilevante.

Basti pensare alla legge 25 febbraio 1992, n. 215 “Azioni positive per l’imprenditoria femminile”, la cui attuazione avviene attraverso bandi pubblici aperti a tutte le imprese costituite da donne o in prevalenza da donne.

Ancora, la legge 8 marzo 2000, n. 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”, e in particolare l’articolo 9 e la previsione di contributi per le imprese che attuano misure a sostegno della flessibilità.

Più recentemente, la legge 12 luglio 2011, n. 120 “Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati” - c.d. “legge Golfo”, dal nome della prima firmataria della proposta - sulle quote di genere nei CdA delle società quotate in borsa25, volta a favorire un maggior equilibrio di genere nei relativi board, disponendo che almeno 1/3 dei posti del CdA sia riservato alle donne26.

E infine, le plurime normative introdotte negli Statuti regionali che contengono una regolazione più o meno ampia dell’uguaglianza di genere, sovente facendo espressamente riferimento ad “azioni positive per la realizzazione di una effettiva democrazia paritaria”27, ovvero specificando che “la legge assicura uguali condizioni di accesso (Piemonte), ponendo in essere misure tendenti alla rimozione di quegli ostacoli (Veneto) che impediscono la realizzazione del principio di cui agli artt. 51 e 117 Cost. (Emilia-Romagna), favorendo una adeguata rappresentanza di genere (Toscana) o, comunque, promuovendo la parità di accesso tra gli uomini e le donne alle cariche elettive (Calabria) o ancora, più incisivamente, garantendola (Marche, Puglia) ” 28.

Le misure di riserva di quote sono finalizzate a porre rimedio a particolari condizioni non favorevoli, tali da ridurre le opportunità di partecipazione delle donne alla vita pubblica, e sotto il profilo effettuale, sono idonee a dispiegare una funzione promozionale quanto mai auspicabile in subiecta materia29. Norme di tal fatta rivestono una vis propulsiva tale da incidere fortemente sulla realtà sociale, orientandone le modalità di evoluzione e i mutamenti, particolarmente al fine di adeguarla ai principi costituzionali. Si tratta infatti di disposizioni preziose, con le quali il legislatore non si limita a regolamentare l’esistente, ma contribuisce a creare le condizioni per la realizzazione degli obiettivi di trasformazione sociale e di inclusione dinamica dei consociati in condizioni di eguaglianza sanciti dalla Costituzione30.

La strategia delle azioni positive nella legge 125/1991

L’obiettivo di favorire il cambiamento organizzativo e sociale per dare alle donne reali opportunità di inserimento nei settori e livelli professionali in cui sono sottorappresentate, per favorire lo sviluppo delle carriere femminili, il lavoro autonomo e imprenditoriale, una diversa gestione degli orari di lavoro e dei servizi, la conciliazione tra lavoro di cura e lavoro professionale e la redistribuzione dei compiti familiari, viene sostenuto dal finanziamento pubblico ai progetti di azione positiva, realizzato attraverso il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici31.

Istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e presieduto dal Ministro del Lavoro o, per sua delega, da un Sottosegretario di Stato, il Comitato Nazionale di Parità promuove, nell’ambito della competenza statale, la rimozione delle discriminazioni e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l’uguaglianza fra uomo e donna nel lavoro e incentiva l’attuazione dei piani di azioni positive in aziende pubbliche e private.

Nel corso degli anni, il Comitato ha predisposto il bando pubblico per il detto cofinanziamento, denominato Programma Obiettivo e si è poi occupato della valutazione delle istanze e dei progetti pervenuti.

Da ultimo, tale importante organismo ha subìto una progressiva compressione delle funzioni e ancor più delle risorse economiche con conseguente contrazione - rectius soppressione - della spesa destinata al finanziamento delle azioni positive32.

I dati sono sconfortanti.

L’ultimo Programma Obiettivo che il Comitato Nazionale di Parità ha pubblicato è stato quello dell’anno 2013, “Programma obiettivo per l’incremento e la qualificazione dell’occupazione femminile, mediante l’inserimento e il reinserimento nel mercato del lavoro, sviluppo e consolidamento di imprese femminili”. Si tratta di azioni positive finalizzate a promuovere:

- occupazione, a vantaggio di giovani donne under 35, e reinserimento lavorativo, a vantaggio di donne over 35;

- consolidamento d’impresa, a favore di imprese femminili attive da almeno due anni.

I progetti positivi (solamente due) sono stati approvati e finanziati con DPCM 9 settembre 2015, per un importo complessivo di € 183.550,00.

Ben 55 progetti non sono stati finanziati per carenza di risorse disponibili; 65 hanno ricevuto parere negativo; 52 erano privi dei requisiti di procedibilità.

L’ultima riunione del Comitato Nazional di Parità si è tenuta l’8 novembre 2017 33.

Quindi, da oltre un lustro le azioni positive non ricevono alcun finanziamento, con ogni conseguenza in termini di qualificazione delle politiche di pari opportunità nel nostro paese.

Il microcredito come azione positiva

In questo quadro variopinto, in cui la somma altezza dei principi contrasta con l’infima miopia delle scelte di (non) investimento economico, qual è o quale potrebbe essere la funzione delle politiche di microcredito e microfinanza?

Ebbene, è innegabile che il microcredito nasca come azione positiva.

Le sperimentazioni del fondatore della Grameen Bank, Muhammad Yunus, hanno preso avvio proprio dalla vicenda di una donna, micro-imprenditrice artigiana, e proprio in un’area geografica in cui la donna è ancora tenuta ai margini della società34.

È evidente che lo strumento si presta particolarmente a concretizzare azioni positive di cui alla lett. c) dell’art. 42 del dlgs 198/2006 “favorire l’accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici”.

Un serio intervento di promozione di tale categoria di iniziative consentirebbe di contrastare i dati infausti che nel nostro Paese certificano che l’accesso al finanziamento è uno degli ostacoli principali alla creazione e alla crescita di imprese femminili35.

I progetti di microcredito destinati specificamente alle donne consentono loro di avviare una attività di impresa senza dover fornire garanzie reali alla banca, né chiedere aiuto alla famiglia, sia un genitore o marito o compagno.

Anche gli studi più recenti confermano come per l’accesso a finanziamenti, le imprese femminili subiscano una doppia forma di discriminazione: essendo più piccole e specializzate in settori meno produttivi36, risultano meno interessanti per gli investitori; inoltre, essendo condotte da donne sono percepite come più rischiose per una questione culturale.

Conseguentemente, le domande di finanziamento da parte delle imprenditrici o vengono rigettate oppure, in caso di accoglimento, implicano condizioni più stringenti quali tassi d’interesse più elevati e richiesta di maggiori garanzie.

Il tutto nonostante sia di regola rilevata una quota più bassa di crediti in sofferenza rispetto agli uomini, come è dimostrato peraltro a livello globale fin dalle origini della sperimentazione di Yunus.

Il microcredito può risolvere il problema del gender gap nell’accesso al credito, che da sempre penalizza le donne più degli uomini, proprio per le funzioni che lo caratterizzano quale strumento inclusivo di assistenza e promozione, incentrato sulla fiducia, sulla responsabilità e sull’acquisizione di nuove competenze.

In particolare, la preponderante componente di educazione finanziaria del microcredito37 può tradursi in un concreto apporto per l’emancipazione in primis socio-culturale delle destinatarie, alle quali fornisce gli essentialia della formazione economica e imprenditoriale.

Per i rilevanti effetti di inclusione finanziaria che esso produce, il microcredito può quindi configurarsi come strumento essenziale per ridurre la diseguaglianza di genere nel lavoro e per favorire e incrementare la partecipazione delle donne al sistema economico, in termini sia di maggiore occupazione che di opportunità imprenditoriali.

Di tanto pare essersi avveduto da ultimo anche il Governo Italiano, segnatamente la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, che ha annunciato la costituzione di un fondo di garanzia per il microcredito a favore delle donne vittime di violenza, con l’obiettivo di supportare e accompagnare le donne assistite dai Centri Antiviolenza in un percorso di re-introduzione nella comunità attraverso l’emancipazione economica38.

Il progetto reca una denominazione quanto mai suggestiva, “Microcredito di Libertà”, tale da compendiare la cifra più alta dell’istituto, cogliendone la ratio profonda di strumento di liberazione - dal bisogno, dalla violenza, dall’usura, dalla disoccupazione - e di sviluppo della persona, per come sancito dai principi fondamentali della Costituzione.

È evidente che la strada da percorrere è proprio questa, e passa dalla implementazione di buone pratiche di azioni positive che prevedano programmi di microcredito - una sorta di “microcredito di parità” - anche in chiave di contrasto degli effetti nefasti determinati dalla pandemia a livello economico.

Infatti, l’investimento nel “potenziale femminile inespresso”, tale da conseguire l’equilibrio di genere rappresenta “la soluzione di un problema economico…È l’efficienza, più che l’equità, a suggerire un maggiore coinvolgimento del genere femminile nei processi di produzione dei beni, sia pubblici che privati. La ratio della garanzia dell’equilibrio di genere è quindi fondata sull’esigenza fondamentale dell’efficienza del sistema”,39 oltre che, ovviamente, della sua produttività40.

NOTE

1 Relazione tenuta al Convegno dell’Ente Nazionale per il Microcredito dal titolo ““Women Empowerment: gli strumenti della microfinanza a sostegno dell’impresa femminile e del territorio”, svoltosi in Loreto (AN) il 12 settembre 2020. Solamente pochi giorni dopo, il 19 settembre, il mondo ha perso Ruth Bader Ginsburg, giurista illuminata e appassionata facitrice di pari opportunità con i suoi studi e la sua vita, cui queste brevi notazioni sono dedicate.

2 Sul tema v., ex multis, MARCUCCI M., VANGELISTI M. I., L’evoluzione della normativa di genere in Italia e in Europa, in Quest. econ. fin., 188, 2013, p. 5 ss.

3 Il d.lgs. 198/2006 contiene una disciplina ad ampio raggio contro le discriminazioni di genere in cui sono confluite, tra l’altro, le precedenti normative relative alla parità in ambito lavorativo. Per approfondimenti, v. DE MARZO G. (a cura di), Il Codice delle Pari Opportunità, Milano, 2007.

Tra i principali interventi normativi successivamente adottati in materia di parità di trattamento tra uomini e donne in ambito lavorativo, occorre richiamare il Decreto Legislativo 25 gennaio 2010, n. 5, “Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego”, che ha novellato il Codice delle pari opportunità al fine di rafforzare il principio antidiscriminatorio di genere e di assicurarne l’operatività in tutti i campi e a tutti i livelli; il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151, “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”‘, che ha semplificato e razionalizzato organismi, competenze e fondi operanti in materia di pari opportunità nel lavoro.

4 La legge, a eccezione dell’articolo 11, è stata abrogata dall’articolo 57 del decreto legislativo n. 198/2006 che ne ha assorbito le disposizioni.

5 Ampia la letteratura sul tema, in particolare v. BALLESTRERO M. V., Parità e oltre: parità, pari opportunità, azioni positive, Roma, 1989; AINIS M., Azioni positive e principio d’eguaglianza, in Giur. cost., 1992, pag. 597 e ss; GAETA L., ZOPPOLI L. (a cura di), Il diritto diseguale. La legge sulle azioni positive, Torino, 1992; TREU T., BALLESTRERO M.V.(a cura di), Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, in Nuove l. civ. comm., n. 1, 1994, p. 1 ss.; GHERA E., Azioni positive e pari opportunità, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1995, 1 ss.; ASSANTI C., Azioni positive: confini giuridici e problemi attuali dell’eguaglianza di opportunità, in Riv. it. dir. lav., 1996, p. 375 ss.; BALLESTRERO M. V., Azioni positive. Punto e a capo, in Lav. e dir., 1996, p. 117 ss.; D’ALOIA A., Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale: contributo allo studio delle azioni positive nella prospettiva costituzionale, Padova, 2002; GAROFALO M.G. (a cura di), Lavoro delle donne e azioni positive. L’esperienza giuridica italiana, Bari, 2002; CALAFÀ L., Azioni positive possibili tra lotta alle discriminazioni e promozione dell’uguaglianza, in Lav. e dir., 2005, p. 273 ss.; CAIELLI M., Le azioni positive nel costituzionalismo contemporaneo, Napoli, 2008; MARIOSA F., Tutela della donna e rapporti di lavoro, in AMOROSO G., V DI CERBO., MARESCA A., Diritto del lavoro, I, Milano, 2009, p. 1975 ss.

6 Si tratta della Direttiva 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, e della Direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, di cui si dirà più oltre. Sull’incidenza delle misure per la parità provenienti dall’Unione europea v. BARBERA M. (a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, Milano, 2007.

7 V. OCCHINO A., La questione dell’eguaglianza nel diritto del lavoro, in Riv. it. dir. lav.,1, 2011, pag. 95 ss.

8 Ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. 198/2006, le discriminazioni dirette sono costituite da disposizioni, criteri, prassi, atti, patti o comportamenti che producano un effetto pregiudizievole sfavorendo le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso. Invece, si verifica una discriminazione indiretta “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.

Costituiscono discriminazioni anche i trattamenti meno favorevoli in ragione dello stato di gravidanza, di maternità o di paternità anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti. In argomento, v. CARINCI F., Diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2012, pag. 211.

9 SORRENTI G., “Viaggio ai confini dell’eguaglianza giuridica”. Limiti e punti di caduta delle tecniche di attuazione del divieto di distinzioni in base al sesso, in Riv. AIC, 2, 2020, p. 441. In argomento, v. anche KOSTORIS F., Le politiche per la donna nel mercato del lavoro italiano, in Dir. relaz ind., 2, 2008, p. 479 ss.

10 Sul tema v. ROSENFELD M., Affermative action and Justice. A Philosophical and Costitutional Inquiry, New Haven, 1991, e nella dottrina italiana, AINIS M., Azioni positive, cit., p. 582-608; SORRENTI G., Op. cit., p. 443 ss.

11 In particolare, si richiamano l’Equal Pay Act, legge di parità salariale, del 1963 e il Civil Rights Act, legge per i diritti civili, del 1964.

12 Per una disamina delle politiche di azioni positive realizzate a livello comunitario v. VERONELLI M., Le azioni positive nell’ordinamento giuridico comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit.,1, 2004, p. 63 ss.; POLLICINO O., Discriminazione sulla base del sesso e trattamento preferenziale nel diritto comunitario, Milano, 2005.

Per una rassegna sulla posizione della Commissione in materia di pari opportunità v. VITALI F., I luoghi della partecipazione. Una ricerca su donne, lavoro e politica, Milano, 2009.

13 L’articolo fu poi modificato con l’articolo 141 del Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997.

14 V. Corte di Giustizia, sentenza dell’8 aprile 1976, Defrenne c. Sabena, causa 43/75: ”…l’art. 119 rientrava, a pieno titolo, negli scopi sociali della Comunità dato che questo non si limitava soltanto a realizzare un’unità economica ma doveva garantire, al tempo stesso, mediante un’azione comune, il progresso sociale e promuovere il costante miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei popoli europei”.

15 Secondo VERONELLI M., Op.cit., p. 73, “le ragioni di tale preferenza risiedono nella indiscussa temporaneità, volontarietà e flessibilità di tale strumento, nonché nella più agile rilevabilità dei presupposti obiettivi di fatto idonei a legittimare le misure promozionali”.

16 PALADIN L., Il principio costituzionale di eguaglianza, Milano, 1965; CERRI A., L’eguaglianza, Bari 2005; CARTABIA M., VETTOR T. (a cura di), Le ragioni dell’uguaglianza, Milano, 2009; DRIGO C., La dignità umana quale valore (super)costituzionale, in MEZZETTI L., Principi costituzionali, Torino 2011, p. 255 ss.; SORRENTINO F., Eguaglianza. Lezioni, Torino, 2011.

17 Sul ritardo non soltanto normativo nella parità lavorativa per genere cumulato dall’Italia rispetto agli altri Stati membri, v. KOSTORIS F., Op. cit.,p. 480.

18 SORRENTI G., Op. cit., p. 440.

19 V. KOSTORIS F., Op. cit.,p. 479 ss.

20 C. Cost., 26 marzo 1993, n. 109.

21 SPINIELLO C., Égalité, Parité, Constitutionalité. A proposito delle azioni positive in materia elettorale: Francia e Italia a confronto, in http://www.forumcostituzionale.it.

22 È il testo novellato dall’art. 1 del D.Lgs. 25 gennaio 2010 n. 5.

23 Invero, secondo AINIS M., Cinque regole per le azioni positive, in Quad. cost., 2, 1999, p. 368 ss., per considerarsi costituzionalmente legittime, le azioni positive devono rispettare le c.d. “cinque regole” e presentare una serie di requisiti, individuati nella transitorietà, irretroattività, fondatezza, gradualità, ragionevolezza.

24 L’espressione reverse discriminations, “discriminazione alla rovescia” è adoperata anche in Italia ed evoca la funzione derogatoria delle azioni positive rispetto all’eguaglianza formale. V. SORRENTI G., Op. cit., p. 468.

25 In dottrina, v., RUBINO DE RITIS M., L’introduzione delle c.d. quote rosa negli organi di amministrazione e controllo di società quotate, in Nuove l. civ. comm. 2012, p. 309 ss; GARILLI C., Le azioni positive nel diritto societario: le quote di genere nella composizione degli organi delle società per azioni, in Eur. e dir. priv., 2012, p. 885 ss; STANZIONE D., In tema di “equilibrio tra generi” negli organi di amministrazione e controllo di società quotate, in Giur. comm. 2012, I, p. 190 ss.; CALVOSA L., ROSSI S., Gli equilibri di genere negli organi di amministrazione e controllo delle imprese, in Oss. dir. civ. e comm. 2013, p. 3 ss.; CATANIA A., L’emersione della distinzione di genere nella disciplina normativa dell’impresa, in Dir. fam. pers.,.3, 2018, p. 1030 ss.; MORERA U., Sulle ragioni dell’equilibrio di genere negli organi delle società quotate e pubbliche, in Riv. dir. comm. dir. gen. obbl., 2014, p. 112, 155-168.

26 Come viene valutata la politica delle quote nell’ambito della letteratura scientifica? Le ricerche internazionali condotte da McKinsey - v. in particolare Diversity Matters del 24/11/2014 - hanno evidenziato un rapporto positivo tra performance aziendali e diversità di genere, per cui a una maggiore diversità di genere nell’alta dirigenza corrisponde un più consistente miglioramento delle performance aziendali.

In Italia la Consob, dapprima con il Documento di consultazione in materia di equilibrio tra generi nella composizione degli organi di amministrazione e controllo di società quotate, del 2011, poi con lo studio, “Gender diversity e performance delle società quotate in Italia” del 2018, ha condiviso le opinioni affermatesi in letteratura, sottolineando anche le positive ricadute della legge n. 120/2011.

Il primo aspetto rilevante è di tipo sociologico: grazie all’ingresso delle donne nei board è stato possibile registrare un’età media più bassa, un livello di istruzione superiore, una provenienza da ambienti formativi e professionali maggiormente diversificati.

Il secondo ordine di effetti rilevato dalla ricerca Consob riguarda il miglioramento della performance, valutata in termini econometrici: se le società quotate presentano una massa critica sufficiente di donne nei CdA, ottengono, dati alla mano, risultati economici migliori.

27 Così Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Molise Umbria.

28 ADAMO U., Diseguaglianza di genere e partecipazione politica, 16/05/2011, in www.gruppodipisa.it. V. anche COVINO F., La natura prescrittiva del principio del riequilibrio dei sessi nella rappresentanza politica, in Riv. AIC, 3, 2012; APOSTOLI A., La parità di genere nel campo “minato” della rappresentanza politica, in Riv. AIC, 4,, 2016; ID., Il principio di pari opportunità dalla “astrattezza” degli Statuti regionali alla “concretezza” del giudice amministrativo, in Foro amm., Il, 10, 2016, p. 2593 ss.

29 Sulla funzione promozionale della norma, tale da incidere sulla realtà sociale orientandone le modalità di evoluzione e i mutamenti, particolarmente al fine di adeguarla ai principi costituzionali, v. PERLINGIERI P., “Il diritto civile nella legalità costituzionale”, Napoli, 1991.

Sul tema della valenza politica e della funzione promozionale delle scelte legislative v. anche CALABRESI G., Costo degli incidenti, efficienza e distribuzione della ricchezza: sui limiti dell’analisi economica del diritto, in Riv. crit. dir. priv., 1985, pag. 7 ss. In generale, sul tema della funzione promozionale del diritto, BOBBIO N., Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, pag. 1312 ss.

30 V. A. D’ALOIA, Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale, cit., 106 ss.

31 Le norme che disciplinano il Comitato sono contenute nel Codice delle pari opportunità al Capo III “Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, artt. 8 - 11. Al riguardo, v. anche www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/parita-e-pari-opportunita/focus-on/Comitato-Nazionale-Parita.

32 Gli articoli conclusivi del d. lgs. n. 151/2015 sono intervenuti sulla prima parte del Codice delle pari opportunità (d.lgs. n. 198/2006). In particolare, gli artt. 28-30 modificano la composizione e le funzioni del Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, novellando gli artt. 8-10, d.lgs. n. 198/2006. Quest’ultimo è integralmente sostituito: spicca un rafforzamento del ruolo del Ministero del lavoro, che ora elabora direttamente e pubblica il bando di finanziamento annuale dei progetti di azione positiva sulla base degli indirizzi formulati dal comitato entro il mese di febbraio (nuovo art. 10, co. 1, lett. c, come sostituito dall’art. 30, d.lgs. n. 151/2015). Inoltre, il comitato non esprime più il parere sul finanziamento dei progetti di azioni positive, ma si limita a partecipare attraverso propri rappresentanti a una nuova «commissione di valutazione dei progetti di azione positiva», la cui composizione e i cui compiti saranno definiti con d.m. (nuovo art. 10, co. 1, lett. d, come sostituito dall’art. 30, d.lgs. n. 151/2015). La procedura di aggiudicazione viene rivista di conseguenza (cfr. il nuovo art. 44, d.lgs. n. 198/2006, come sostituito dall’art. 41, d.lgs. n. 151/2015).

33 Informazioni fornite dalla Segreteria del Comitato Nazionale di Parità in data 4 agosto 2020.

34 YUNUS M., Un mondo senza povertà, Milano, 2012, p. 59-60, ricostruisce l’episodio che lo ha indotto a intraprendere le pratiche del microcredito. “Sufiya Begum…come tante altre donne, Sufiya viveva con il marito i bambini ancora piccoli in una fatiscente capanna di fango con il tetto di paglia pieno di buchi. Il marito lavorava a giornata per pochi penny, quando riusciva trovare lavoro. Lei, invece, fabbricava con notevole abilità funzionali ed eleganti sgabelli di bambù nella fangosa aia della sua abitazione. … Come quasi tutti nel villaggio, Sufiya si faceva anticipare dagli strozzini locali il denaro che le serviva per comprare il bambù per gli sgabelli, e lo strozzino le dava il denaro solo se lei acconsentiva a consegnargli tutta la produzione al prezzo che lui stabiliva. Grazie a questo infame accordo e agli altri interessi che doveva pagare sul prestito, tutto quello che le restava erano solo due penny per una giornata di lavoro. In questo modo per lei era praticamente impossibile uscire dalla povertà, poiché era costretta a procurarsi gli anticipi che le servivano per lavorare, per quanto modesti fossero, a condizioni capestro. … Decisi di fare un elenco delle vittime di questo strozzinaggio nel villaggio di Jobra ... Alla fine mi trovai con i nomi di 42 vittime che avevano preso a prestito un totale di 856 taka, meno di 27 $ di allora. … Offri di tasca mia l’equivalente di 27 $ $ pur di strappare quella gente dalle grinfie degli strozzini. L’entusiasmo che si propagò fra loro per questo piccolo aiuto mi convinse ad andare avanti: se potevo rendere felice tante persone con una somma così irrisoria perché non fare le cose in grande?”.

35 A riguardo v. LEWIS-FRAYNE H, RABELLOTTI R., SUBACCHI P., Investing in women: what women-led businesses in Italy and the UK need, Milano-Londra, 2020.

36 In Italia più del 50% delle imprese femminili sono attività come lavanderie, negozi di parrucchiere o di estetiste. V. RABELLOTTI R., La parità passa per l’accesso al credito, in http://www.ingenere.it.

37 Sulla rilevanza esiziale del tema dell’educazione finanziaria, funzionale al perseguimento dell’inclusione finanziaria e, conseguentemente, al raggiungimento di una vera e propria “cittadinanza economica”, v. FALCONE G., “Prestito responsabile” e valutazione del merito creditizio, in Giur. Comm., 1, 2017, p. 167 ss.

38 V. Commissioni Riunite Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I) Lavoro Pubblico e Privato (XI) Affari Sociali (XII) - Audizione del 4 dicembre 2019 - Resoconto stenografico.

39 Non sono parole di un economista, bensì del Consiglio di Stato, sezione I, Parere, 4 Giugno 2014 n. 594.

40 Sul tema della necessità di interventi di settore che consentano di valorizzare, appunto, il potenziale femminile inespresso v. FERRERA M., Il fattore D. Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia, Milano, 2008; Boston Consulting Group, Want to boost the global economy by $ 5 trillion? Support women as entrepreneurs, 2019; Il sole24ore, 22 giugno 2020, L’Onu: l’era pandemica è insostenibile per le donne. Casellati: ora le riforme.

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