20 ANNI DI MICROCREDITO IN ITALIA: IL BILANCIO DEL PROFESSOR MARIO LA TORRE

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L’Ente Nazionale per il Microcredito nasce in Italia come un Comitato Nazionale per promuovere l’Anno Internazionale del Microcredito lanciato dalle Nazioni Unite nel 2005, è di fatto questo il primo atto ufficiale a livello internazionale con cui si sancisce che il microcredito è uno strumento potente per la lotta alla povertà e all’esclusione finanziaria. Tutti i Paesi ovviamente hanno risposto a questo appello, l’Italia risponde anch’essa, costituisce un comitato che inizialmente doveva essere temporaneo, dedicato all’anno internazionale. Era un comitato che si era insediato all’interno del Ministero degli Affari Esteri e che aveva una mission specifica, sostanzialmente quella di divulgare la conoscenza del microcredito, perché per quanto possa sembrare strano, nel 2005 il microcredito di fatto non era noto sostanzialmente.

A venti anni da quella firma abbiamo chiesto al professor Mario La Torre, ordinario di economia all’Università La Sapienza di Roma e membro del CDA dell’Ente Nazionale per il Microcredito, un bilancio e una previsione su questa esperienza.

Professore il microcredito e la finanza inclusiva sono sue priorità da sempre, come è nata?

Io stesso devo confessare che il microcredito lo conosco e lo conoscevo bene, ma per uno specifico percorso personale, perché durante i miei anni di master in Inghilterra avevo selezionato tra le materie facoltative una materia che si chiamava Development Banking, all’interno della quale si parlava di economia dello sviluppo e di banche per lo sviluppo, e c’era tutto un capitolo dedicato a queste iniziative. Però tornato in Italia, effettivamente avevo trovato terreno deserto, e invece l’anno internazionale del microcredito ha dato veramente un grande impulso alla conoscenza del microcredito.

Ricordo che abbiamo in quell’anno viaggiato per tutta l’Italia, con convegni, seminari, workshop, che a me all’epoca sembravano utili, ma neanche troppo. In verità, col senno del poi, effettivamente riconosco che c’era una grandissima necessità di diffondere la conoscenza di questo strumento. Ecco però, da lì l’Italia coglie l’occasione di rendere questa iniziativa più strutturata, e quindi il Comitato si trasforma in qualcosa di permanente, ovviamente con diverse nature giuridiche fino ad arrivare ad oggi a quella che è la realtà attuale. Questo ha dato sostanzialmente un segnale di grande continuità, perché alla fine è stato un ventennio importante in cui abbiamo vissuto delle vicende alterne, perché all’inizio, sull’onda del 2005, sembrava un terreno molto fertile e sembrava che ci fosse molta attenzione a queste materie.

Ovviamente la crisi finanziaria del 2008 ha in qualche modo da un lato creato la maggiore necessità di pensare a delle azioni di finanza inclusiva, perché gli effetti della crisi si sono manifestati in maniera abbastanza evidente e i tassi di esclusione finanziaria e di povertà sono aumentati. Questo portava oggettivamente nella direzione di porre attenzione a strumenti di finanza inclusiva, dall’altro ha anche un po’ distratto il legislatore e i policy makers, più il legislatore in primis perché c’era l’urgenza del caso di riparare gli effetti devastanti di quella crisi.

All’interno di questo contesto, il micredito ha vissuto delle vicende di stop and go, sia da un punto di vista di attenzione dei policy makers che da un punto di vista di attività del legislatore, che tutto sommato, se si deve in qualche modo dare un giudizio finale, io ho un giudizio positivo perché ancora oggi non sono tantissimi i Paesi che hanno un framework normativo così consolidato e così completo rispetto al microcredito come l’Italia, perché tutto sommato con tutte quelle che possono essere i fine tuning, i miglioramenti che si possono immaginare su questo impianto normativo, quest’ultimo funziona e sicuramente tutto ciò ha agevolato una conoscenza più diffusa dello strumento e anche la messa in opera di tanti programmi, di tante iniziative che l’allora Comitato e l’attuale Ente hanno sicuramente promosso con grande forza.

Ci sono però ancora tantissime azioni da intraprendere e per molte di queste credo che gli operatori, l’Ente stesso e la Governance dell’Ente abbia piena consapevolezza. Ci sono certamente degli aspetti su cui oggi vale la pena lavorare ancora, soprattutto su alcune predisposizioni del legislatore che erano per certi versi anche lungimiranti ma che poi hanno trovato degli ostacoli nella realizzazione.

La prima cosa che mi viene in mente ad esempio è il ruolo che questa figura di nuovo intermediario, che il legislatore aveva previsto, gli operatori di microcredito, intermediari particolari che possono svolgere soltanto attività microcreditizia e sono dedicati proprio alla finanza microcreditizia e devono essere sicuramente messi in una condizione più agevole per fare scaling della propria attività, perché oggi sono rimasti quei pochi che lavorano in una dimensione ridotta, gli altri una sorta di laboratorio quasi in una posizione di stand by. Ci sono delle motivazioni specifiche per questo, sia da un punto di vista normativo, che da un punto di vista di azioni, di partenariati e di azioni sistemiche.

Questa è una direzione, una prospettiva su cui il Comitato di allora e l’Ente di Adesso hanno posto sempre attenzione, ma oggi ancora di più perché il microcredito è uno strumento che ha delle specificità tutte sue e che sicuramente come ripete spesso anche il Presidente dell’Ente, Mario Baccini, non può essere demandato esclusivamente al sistema bancario che può avere un ruolo importante, ha avuto e sta avendo un ruolo importantissimo, ma in una visione evoluta del mercato microcreditizio a mio avviso può riconfigurare il ruolo in maniera diversa soprattutto attraverso dei partenariati con gli operatori 111. Dei partenariati con gli intermediari specializzati attuando dei meccanismi di doppia intermediazione, un po’ più sofisticati secondo me, ha maggior impatto di quelle che oggi possono essere le iniziative dirette che vuoi o non vuoi per le banche, rispetto al portafoglio credito delle banche, assumono ancora delle dimensioni quantitative molto ridotte e circoscritte.

La finanza alternativa, io la chiamo così, mi ha sempre appassionato perché sono convinto che la finanza sia positiva e possa avere degli impatti positivi, ovviamente la guardo sia da docente che come professionista, la guardo con molto disincanto, con molta attenzione perché dipende da come si fa finanza.

La finanza si può fare in modo positivo e tutte le esperienze di questo tipo le chiamo alternative, perché nel corso degli ultimi vent’anni penso che abbiamo cambiato diversi nomi per contraddistinguere un certo tipo di finanza.

Da finanza etica a finanza socialmente responsabile, a finanza di impatto, a finanza sostenibile, a finanza ESG.

Ci sono diversi label, etichette che possiamo associare a questa finanza genericamente alternativa, ma la matrice comune è quella della positività, cioè quella della finanza che può generare degli impatti positivi.

Lei è uno dei massimi esperti italiani di finanza d’impatto, come può essere definita?

Tutta la finanza genera impatto, la verità è che la differenza sta nella intenzionalità, quindi l’approccio alla finanza deve contenere l’intenzionalità di generare impatto positivo. Questo ad alcuni sembra un cortocircuito perché coloro che seguono la teoria classica dell’economia che è centrata sull’obiettivo primario, prioritario, a volte esclusivo del profitto, non considerano altro al di fuori di questo e vedono tutto il resto, anche gli effetti collaterali, quindi anche l’impatto positivo che è un effetto collaterale della finanza o sarebbe un effetto collaterale della finanza. In verità esiste tutto un mondo che lavora la finanza in modo diverso, un mondo di finanza, che guarda il profitto, un mondo di finanza che coniuga il profitto con l’impatto.

Per fare un esempio tutto il mondo delle banche etiche, in Italia ne abbiamo una a rigore di normativa, che è appunto banca etica, ma c’è tutto un mondo di banche etiche in Europa che lavora con questi principi, seguendo questi principi, quindi un mondo di banche che fa profitto, ma fa profitto seguendo linee strategiche e azioni manageriali e gestionali che guardano all’impatto.

La finanza generativa è quella che si genera con l’intenzione di creare impatto, però avendo il vincolo di avere anche il profitto, di avere una sostenibilità anche economico finanziaria, questa finanza esiste, mi ha sempre appassionato, probabilmente perché provengo per matrice familiare e culturale da una famiglia che non è una famiglia di economisti, è più una famiglia di letterati e di artisti, quindi probabilmente sono stato educato più a guardare altri aspetti generativi delle scienze e delle arti, probabilmente per questo è stata sicuramente una spinta che mi ha portato a guardare la finanza, anche quella più tradizionale con una visione laterale e devo dire che oggettivamente ho trovato in questo, sempre una soddisfazione, magari una soddisfazione un po’ postdatata, che mi ha confermato però che certe scelte, certe convinzioni erano giuste. Io quando ho iniziato il corso di finanza etica all’università avevo pochissimi studenti ed erano quasi tutti Erasmus, ho rischiato che il corso fosse chiuso per quanti studenti frequentavano all’epoca, oggi, come ogni anno il numero degli studenti che frequentano aumenta e dobbiamo cercare sempre aule più grandi.

Questo per dare il senso di come nell’arco di vent’anni le cose siano fortemente cambiate e sono anche convinto che i cambi generazionali sono la chiave più potente per far metabolizzare alle nuove generazioni dei manager, alle nuove generazioni dei banchieri, alle nuove generazioni di finanzieri una cultura della sostenibilità che sia veramente intima e naturale nei processi mentali e decisionali che poi si trasferiscono ovviamente nelle azioni e nelle strategie delle imprese. In un mio articolo sul mio blog parlo di un banchiere d’immaginazione, identifico una figura di un banchiere d’immaginazione, sicuramente il microcredito è stato ispirato da banchieri d’immaginazione, cioè da quei banchieri che guardano la finanza in maniera diversa. Però quando si va un po’ oltre, quando si innestano delle novità anche così dirompenti, è ovvio che ci sono delle resistenze, a volte sono delle resistenze strumentali, a volte sono delle resistenze che arrivano fisiologicamente perché chi lavora in certi settori è abituato da sempre a ragionare in modo più conservativo e per questo i cambi generazionali sono la linfa che poi fa metabolizzare realmente un nuovo passo, sostanzialmente ed è per questo, a mio avviso, che al di là di tutti questi accadimenti e questi tempi in cui ci possono essere questi push and pull sulla finanza sostenibile.

Abbiamo vissuto gli ultimi anni, dal 2018 ad oggi, con una grande spinta, iper-regolamentazione, adesso c’è un periodo in cui dalle grandi banche ai grandi asset manager tutti sembrano fare un passo indietro, magari anche sulla scorta di indicazioni dei policy makers a livello internazionale, però la verità è che quando certi trend si infiltrano nei livelli generazionali vanno avanti a prescindere.

Quello che mi aspetto e mi auguro, che è quello che insegniamo all’università ai ragazzi, è di pensare alla finanza in maniera diversa e sono convinto che le nuove generazioni già lo fanno e sono abbastanza convinto che riusciranno anche a metterla in pratica in maniera diversa rispetto a come le generazioni passate l’abbiano fatto.

Professor La Torre qual è il Suo personale bilancio per i prossimi venti anni?

I 20 anni dell’Ente Nazionale per il Microcredito sono un traguardo importante, diciamo che sono passati e non ce ne siamo accorti, questo come succede anche quando dobbiamo pensare alla nostra età, per certi versi è un bene, vuol dire che la vita è stata una vita appassionata e io penso che la vita dell’Ente sia stata una vita appassionata, a volte un po’ turbolenta, non per colpa dell’Ente, ma per colpa dei vari cortocircuiti che possono accadere nelle dinamiche politico-istituzionali. L’Ente però è stato sempre vitale, ha saputo reagire, è stato anche molto spesso sostenuto da un terreno sociale molto fertile, questo bisogna dirlo, e devo dire che poi alla fine anche gli stessi policy makers hanno sempre fatto un passo indietro quando magari inavvertitamente avevano intrapreso delle strade che potevano in qualche modo compromettere il percorso naturale di questa istituzione.

Secondo me è un fiore all’occhiello dell’Italia, perché non sono tantissimi i Paesi che possono vantarsi di avere un’istituzione pubblica al servizio della finanza sociale e della finanza inclusiva, io mi auguro che il futuro di questo Ente ovviamente sia lungo, perché c’è necessità di una finanza inclusiva e sono anche convinto che su certi settori, che sono ovviamente più difficili, in particolar modo su certi settori finanziari di nicchia, la mano pubblica è una mano importantissima. Poi si può pensare al modo di rivisitarla a secondo dei contesti storici, dei contesti sociali, ma credo che non si possa fare a meno dell’intervento pubblico in particolari nicchie di mercato e rispetto a certi traguardi dello sviluppo sostenibile inclusivo che oggi credo sia consacrato, al di là di quelle che possono essere le contingenze del momento, nessuno Stato può fare a meno di mettere al capo della propria agenda.

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