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IA e migrazioni: usiamo la tecnologia per lo sviluppo e non per il controllo
di Emma Evangelista
Le migrazioni sono una risorsa per il Pil nazionale. La fotografia dei migranti che giungono in Italia si è modificata nel tempo. Se l’immagine di quell’8 agosto del ‘91 in cui la Vlora arrivò a Bari con 20.000 migranti albanesi, ricchi solo di sogni e di speranze, è ancora nella memoria eidetica, la realtà in trent’anni ci ha dimostrato che i flussi sono cambiati e che nel nostro Paese sono molti coloro che arrivano con idee ben chiare e che velocemente richiedono e ottengono permessi di soggiorno regolari per impiegarsi nelle attività più disparate. Se fino a qualche anno fa l’identikit del migrante era rappresentato per la stragrande maggioranza da persone che venivano in Italia per essere impiegate per lo più come braccianti agricoli, stagionali, o caregiver, oggi in molti arrivano già con titoli di studio e possono a buon diritto aspirare a ricoprire posizioni lavorative di altro tipo. In questo contesto il microcredito si pone come uno strumento utile all’autoimpiego per garantirsi un lavoro dignitoso, come recita l’obiettivo 8 dell’Agenda2030 che cita lo strumento microfinanziario come utile allo scopo, garantire dignità significa offrire e creare un lavoro che sia produttivo e che assicuri un giusto reddito, che garantisca sicurezza sul luogo di lavoro e protezione sociale alle famiglie, così come prospettive di crescita personale e integrazione sociale.
Se da un lato questo processo dà adito alla realizzazione di quella che Baumann definisce società liquida, in cui il melting pot, l’integrazione sociale e linguistica e l’etica che fonda la convivenza sui diritti universali che vedono nell’immigrazione una risorsa, creando le condizioni per una nuova società, dall’altro la difesa dei confini nazionali e la securitizzazione delle frontiere danno adito a un protezionismo che fonda sul nazionalismo una politica che non tiene molto all’inclusione.
D’altro canto il mercato del lavoro, grazie all’uso dell’IA generativa sta cambiando volto, chiedendo sempre più specializzazione per la soddisfazione delle posizioni di lavoro di funzionari e dirigenti e allo stesso tempo della manodopera di base a bassa specializzazione, che secondo le stime del Rapporto McKinsey, sarebbe più conveniente per le imprese di un investimento specifico su alcuni strumenti di IA.
Allo stesso tempo la questione del controllo dei flussi migratori si pone come dirimente per l’ingresso nei Paesi UE di una moltitudine di soggetti, soprattutto nei mesi estivi provenienti dal mediterraneo. Le nuove tecnologie, spesso AI powered, sono entrate prepotentemente in questo contesto. La raccolta e l’elaborazione di grandi quantità di dati, il tracking della posizione di cose e persone, l’analisi dei profili e il calcolo di “indici di pericolosità” dei migranti, la videosorveglianza intelligente sono tutti strumenti potenti e su cui si sta investendo moltissimo, ma che pongono moltissimi dubbi sul rispetto della privacy e dei diritti della persona. L’AI ACT si pone anche l’obiettivo di tentare una regolamentazione di questi aspetti. Tuttavia, anche l’AI Act, sul tema controllo dei flussi migratori si pone come uno strumento border line. Si rischia, di fatto, che utilizzare droni e controllo biometrico per l’identificazione non sia utile ad aiutare il migrante ad accedere a percorsi regolari di ingresso, ma può dare luogo a vere e proprie ghettizzazioni. Il rischio è una oligarchia digitale che non permetta lo sviluppo dell’individuo nella sua integrità e neppure la sua inclusione nel Paese, fermo restando che i migranti sono una risorsa per l’economia italiana. Dovrebbe, quindi, essere cura degli stati europei vigilare affinché l’uso delle nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, in tutte le sue declinazioni, possa essere per lo sviluppo economico e sociale e non per il controllo.