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di EMMA EVANGELISTA e MATTEO OCCHIUTO

La ripresa del mercato del lavoro post-pandemico, gli indicatori per l’occupazione della Commissione Europea, il quadro generale della situazione occupazionale in Italia, senza dimenticare il PNRR e la dovuta attenzione alle forze lavorative giovanili e femminili. Una varietà di temi, oggi più che mai al centro del dibattito italiano ed europeo, che sono stati discussi con Emiliano Rustichelli, consulente economico presso la Segreteria Tecnica del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, già Chair of the Employment Committee Indicators Group at European Commission. Una vita spesa nello studio del settore occupazionale, di cui certamente è uno dei massimi esperti per quanto riguarda il nostro Paese ma non solo. Dottor Rustichelli, iniziamo col parlare di quella che è la situazione nel mondo del lavoro. Come definirebbe la situazione reale riguardo le politiche per il lavoro e per l’occupazione, in questo momento? Dopo la pandemia sicuramente non abbiamo ancora tutti gli elementi per capire quali possano essere le conseguenze del periodo di chiusura di alcune attività economiche. Abbiamo delle indicazioni che ci dicono che il tasso di occupazione e quello di attività sono scesi di 2 punti percentuali. Abbiamo però anche messo in campo moltissime misure che hanno salvaguardato i posti di lavoro come la cassa integrazione covid. Anche la cassa emergenza covid è stata sicuramente importantissima permettendo alle persone di avere una continuità reddituale. Ora quello che ci aspettiamo è un graduale passaggio verso una fase di ripresa la cui tempistica non è ancora definita e definibile, gli esiti e gli impatti sul mercato del lavoro e sui principali indicatori del mercato del lavoro sono ancora di difficile comprensione. In questo momento l’Europa chiede all’Italia e a tutti i suoi stati membri di sostenere le politiche dell’occupazione per i giovani e per le donne. In Italia cosa è stato fatto e quanto si potrà fare anche in previsione di PNRR? Il PNRR sostanzialmente è la base attraverso la quale potranno poi essere messe in campo ulteriori azioni per giovani e donne. Il PNRR vuol dare al Paese una spinta su assi molto precisi. Da una parte abbiamo la transizione digitale e la transizione verde che sono come dire i due punti di arrivo necessari delle politiche italiane ed europee per i prossimi anni. Dall’altra abbiamo una serie di riforme che cercano di creare le condizioni affinché l’economia possa crescere a ritmi e tassi più sostenuti di quelli dello scorso decennio. Accanto a questo ci sono sicuramente anche delle riforme previste nel PNRR che danno una spinta in questa direzione per quanto riguarda il mercato del lavoro. Penso alla riforma delle politiche attive, cruciale per favorire un efficace incontro tra domanda e offerta e fluidificare il mercato del lavoro. Dall’altra la riforma dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita che è proprio il modo attraverso il quale le competenze verdi e digitali devono essere trasmesse alla forza lavoro. Indubbiamente quello che serve è la crescita e quindi il PNRR deve essere implementato in tutta la sua ampiezza proprio per creare delle condizioni in cui, poi, ci sia domanda di lavoro altrimenti senza crescita e senza domanda di lavoro sarà molto difficile creare le condizioni perché l’occupazione femminile e quella giovanile crescano. Parliamo degli indicatori per l’occupazione elemento fondamentale del suo operato. Come sono cambiati rispetto al 2018 e quali sono gli obiettivi italiani? In termini di macro-indicatori, ovvero tasso di occupazione e tasso di attività, abbiamo purtroppo registrato un calo di 2 punti percentuali che, confrontato a un calo del PIL che ha raggiunto in certi momenti anche il 16% su base trimestrale, sottolinea come l’impianto dal punto delle misure messe in campo dai governi che si sono succeduti sicuramente ha garantito una tenuta, una stabilità. Ci sono, però, degli indicatori che strutturalmente continuano a essere preoccupanti, forse i più preoccupanti uno è il basso tasso di occupazione femminile soprattutto nelle aree del Mezzogiorno e l’altro è il tasso dei giovani che non lavorano e che non studiano, i cosiddetti Neet, che in Italia raggiungono anche il 22% cioè il tasso più alto in Europa. Questo è sicuramente un indicatore preoccupante che ci dà una misura, in realtà tutti e due gli indicatori ci danno una misura, delle difficoltà in Italia in termini occupazionali ma anche del potenziale che ci sarebbe. Se mobilitata, tutta questa forza lavoro, darebbe un’ulteriore e forte spinta alla crescita economica. Uno studio di qualche anno fa, condotto dalla Banca d’Italia, segnalava come, se il tasso di occupazione femminile avesse raggiunto quello maschile ai livelli che allora per gli uomini era intorno al 72%, il PIL italiano sarebbe cresciuto del 9%. C’è un potenziale fortissimo dietro l’attivazione di queste risorse: i giovani e le donne, ovviamente come dicevo prima il lavoro non si crea se non c’è crescita ma poi si può generare quel circolo virtuoso che serve veramente a far crescere il Paese. Il progetto Selfiemployment, che fa parte di Youth Guarantee, è stato Best Practices Europea. L’Italia può quindi dettare il passo in Europa? Assolutamente. L’Europa molto spesso guarda all’Italia con interesse perché abbiamo creato dei programmi e delle misure efficaci per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, tra l’altro nella imprenditoria giovanile ma anche femminile ci sono grossi margini di miglioramento e potenzialità. Studi molto recenti dimostrano che la nuova imprenditoria digitale, come anche quella della platform economy, hanno un grandissimo potenziale per attivare la creatività e le competenze di giovani e donne. Si tratta di un ingresso nel mercato del lavoro o, per meglio dire, di una transizione nel mercato del lavoro che non è impossibile, non è difficile ma anzi più agile grazie alle nuove tecnologie che oggi riescono a facilitarci. PMI e Microcredito: possono essere strumenti per la ripartenza? La PMI è uno di quei settori, pur non essendo questo il termine più corretto, che va sostenuto maggiormente nella ripartenza. Non dobbiamo nascondere come la piccola e media impresa sia il tessuto forte italiano. Sicuramente la crisi pandemica ha creato grosse difficoltà di liquidità e accesso al credito. Comunque sono state messe in campo misure molto importanti però andranno fortemente sostenute nel futuro e nei prossimi anni perché devono essere capaci innanzitutto ovviamente di continuare a crescere e a generare ricchezza e poi sarà necessario adattarsi ai driver della crescita futura che sono il digitale e la Green Economy. Va sostenuto il job creation, magari puntando sul potenziamento degli elementi innovativi. L’innovazione, le skills, devono essere competenze non solo relative alla capacità di lavorare in questi settori, ma devono essere anche skills imprenditoriali, quindi la capacità di gestire, di organizzare un’impresa ma anche di saperla guidare e pilotare in un’economia e in un mercato sempre più aperto, dove per una piccola e media impresa è cruciale essere sulla frontiera, altrimenti si rimane indietro. In precedenza abbiamo toccato la tematica legata alle frontiere. In tal senso, quanto pesa la Brexit, oggi, in un’Europa devastata dalla pandemia, che sta cercando di riattivare il proprio tessuto economico? Questo è ancora difficile da prevedere, l’Europa mi sembra che abbia reagito bene rispetto a quello che è stato il negoziato, lungo e faticoso, però c’è stata una coesione, e questa ha aiutato a trovare un accordo positivo. È chiaro che, per esempio, se pensiamo ai giovani, si è complicato quello che era uno sbocco per cominciare a prendere confidenza con il mercato del lavoro, ovvero quello inglese, sempre molto fluido e molto mobile, che offriva molte opportunità di lavoro, non sempre di qualità. In questo momento il Regno Unito sta facendo molta resistenza in termini di libertà e di circolazione alle persone, questo sicuramente genererà un piccolo freno alla mobilità lavorativa in Europa, però non credo che questo impatto sarà cosìgrave. Il settore inglese che contribuiva di più al PIL europeo era quello finanziario, mi sembra che l’Europa stia già riorganizzando e vedremo come andrà nei prossimi anni. Una delle grandi piaghe del settore occupazionale italiano è quella del lavoro nero. Come può il Ministero del Lavoro aiutare e sostenere le politiche dell’emersione? In Italia, secondo me, su questo problema abbiamo una buona esperienza, come la lotta al caporalato. È sicuramente un tema spinoso che non possiamo dire di avere ancora risolto nonostante ci siano state politiche messe in campo positive ed efficaci. Sicuramente da parte nostra c’è stato un input generale di politica e di lotta al lavoro sommerso; però poi sul territorio ci sono azioni che vanno condotte in cooperazione tra enti locali, associazioni di categoria, società civile, organizzazioni del territorio e questa collaborazione ha guardato molto al settore dei trasporti in agricoltura dove è più facile che si creino fenomeni di caporalato. Ora questa esperienza ovviamente non si può tradurre in altri settori perché ogni settore ha la sua specificità, e sicuramente quello che abbiamo imparato è che attraverso questo approccio multidimensionale che vede una forte cooperazione tra tutte le forze in campo compresa quella della vigilanza e dell’ispettorato, si può lavorare per ridurre il fenomeno. Il lavoro sommerso in Italia è abbastanza concentrato e sappiamo anche dove, oltre che nell’agricoltura, nei servizi alla famiglia e nell’edilizia. Sarà un lavoro difficile e ci vuole anche un cambiamento culturale oltre che un’azione di policy incisiva. Per la lotta al caporalato c’è un progetto, inserito nel PNRR, che penso partirà dalle esperienze positive che sono state fatte in campo agricolo. L’ultima domanda è sui giovani e sulle donne. Next Generation EU e Youth Guarantee sono tutti progetti e programmi che hanno a cura l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Ma a Suo avviso, quali sono le soft skills o le skills che determinano realmente l’ingresso di un giovane nell’attività lavorativa? Di cosa si ha bisogno? Ci sono delle passioni che vanno gestite e coltivate, perché la spinta alla realizzazione di se stessi è quello che poi favorisce anche un ingresso positivo nel mercato del lavoro. Quello che bisogna impedire è che queste aspettative siano non realistiche. C’è uno iato, uno scostamento, tra l’idea di quali siano le professioni che danno maggiori possibilità e quelle che ne danno meno, per questo è importante far entrare le politiche del lavoro nella scuola. Le competenze sono sicuramente quelle che crea la scuola per il nostro futuro quindi è importante sfruttarle. D’altra parte sono quelle che il mercato del lavoro in qualche misura chiede alle future generazioni o alle persone che non lavorano. Quindi serve uno sforzo per stimolare questo percorso, le università, i centri di ricerca, gli ITS (Istituti Tecnici Superiori) luoghi deputati alla generazione di importanti competenze nel mercato del lavoro e che a loro volta creano ulteriori domande di competenze da parte del mercato del lavoro verso la scuola. Deve esserci un percorso che va a braccetto, le competenze che serviranno nel futuro sicuramente sono quelle del digitale e questo lo vediamo ma la creatività è un qualcosa che ha a che fare con competenze molto più trasversali e senza creatività è difficile fare impresa e quindi ci vuole anche il coraggio di osare e di coltivare le proprie passioni purché siano guidate, che abbiano un percorso lineare chiaro, sapere cioè dove si vuole arrivare e questo si può fare avendo un orientamento, un orientamento che deve nascere già da dentro la scuola, bisogna spiegare ai ragazzi cos’è il mercato del lavoro, quali sono le aspettative che si possono realizzare con una certa probabilità, quelle che non si possono realizzare, poi chi vuole veramente portare avanti un percorso personale lo farà in maniera più informata e più coerente. Prossimo obiettivo delle politiche del Ministero? Ci sono tante cose in cantiere. Adesso ci sono le misure per uscire dalla fase emergenziale che devono appunto sostenere l’occupazione per quelle persone a rischio di lavoro dopo la fine della cassa integrazione. Politiche di più lungo respiro. Una è già tratteggiata nel PNRR ed è quella della riforma delle politiche attive. Altro tema importantissimo e fondamentale che questo Ministero sta affrontando è quello della riforma degli ammortizzatori sociali, perché in qualche misura il covid ci ha insegnato che la rete di protezione sociale in Italia è robusta ma non arriva a tutti e bisogna fare in modo che lo faccia al più presto.

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