Microcredito e finanza etica: il punto con Giuseppe Torluccio dall’idea di Yunus all’impresa Italia

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A cinquant’anni dal primo esperimento del professor Muhammad Yunus in Bangladesh il microcredito è una realtà affermata nel mondo. Uno strumento di promozione sociale e finanziaria riconosciuto per il raggiungimento dei millennium goals che diventa, nelle nazioni come la nostra, vero e proprio strumento di welfare, oltre che di politica attiva del lavoro. Sul tema è stato intervistato il professor Giuseppe Torluccio, ordinario di Banking and Finance all’Università di Bologna, si occupa di consulenza ed è autore di pubblicazioni in materia di intermediazione finanziaria, gestione del rischio di credito e finanziamento d’impresa. Il professor Torluccio è coinvolto in molti studi sociali e attività correlate, come direttore dello Yunus Social Business Centre – Università di Bologna ed è attualmente vice presidente della Fondazione Yunus Italia, già Grameen Italia ed è membro del Consiglio Nazionale dell’Ente Nazionale per il Microcredito.

Professore quest’anno ricorrono i 50 anni dal primo esperimento di Yunus. Il microcredito è ancora utile?

Questo strumento ha visto varie implementazioni nei Paesi che stanno crescendo, in quelli che sono già cresciuti e ci chiediamo se cresceranno ancora, come l’Italia, l’Europa o gli Stati Uniti, e ha delle caratteristiche peculiari, interessanti, sia per lo sviluppo finanziario, ma anche per lo sviluppo personale, la consapevolezza dell’impegno che le persone si prendono di fronte a un’esposizione finanziaria. Da un lato c’è l’esperienza di Yunus in Bangladesh, dove la sfida non è solo nella capacità di finanziare le persone che sono in difficoltà, ma soprattutto finanziarle in un contesto dove, da un punto di vista personale, le persone sono sfidate ogni giorno nel cercare una positività; dall’altro implementare in Paesi come l’Italia, la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, richiede invece uno sforzo in più, perché le modalità per far partire nuove attività imprenditoriali sono certamente più complicate rispetto ai Paesi che abbiamo descritto prima. Perché è più complicato aprire un’impresa, perché i costi di queste attività sono sostanzialmente molto differenti rispetto a quelli dei Paesi che una volta chiamavano in via di sviluppo, che adesso chiamiamo emergenti.

Le esperienze di microcredito che abbiamo visto in Bangladesh, in alcune zone dell’Africa, in Kosovo, partono quindi da contesti particolari differenti dai nostri, nel senso che noi abbiamo spesso delle strutture di welfare che aiutano le persone più povere e quindi l’insegna di Yunus viene a partire dai più poveri dei poveri e fortunatamente in alcuni Paesi sono già coperte dalle strutture di welfare che abbiamo. Allora a cosa serve il microcredito nei Paesi che non sono più Paesi emergenti? Serve perché responsabilizza le persone nello sviluppare delle attività economiche. Io mi concentro soprattutto sul microcredito imprenditoriale, perché è quello che secondo me aiuta le persone a crescere, a pensare a un progetto, a chiedersi se questo sogno/progetto è realizzabile anche con dei profili di economicità e quindi che sia in grado di sostenersi.

Quali i punti di forza e quelli di debolezza di questo strumento?

La parte di erogazione dei servizi finanziari e ausiliari è probabilmente quella più complicata, dei servizi ausiliari.

L’European Microfinance Network li chiama BDS, Business Development Services, che sono poi l’equivalente dei servizi ausiliari. Questa parte se fatta bene risulta particolarmente onerosa e quindi il tasso di interesse che generalmente viene richiesto al microcredito non è in grado di compensare questo costo. Non è un modo per chiedere un sostegno specifico al microcredito ma inserirlo in un contesto invece più generale.

Chi esce dai circuiti di welfare perché ha iniziato un nuovo progetto, non solo contribuisce allo sviluppo economico della collettività, ma ha anche una crescita del suo profilo personale perché non è un assistito ma è un soggetto che invece diventa attivo e come sappiamo da varie statistiche un’operazione di microcredito ha un effetto moltiplicativo anche sull’occupazione. Non è limitato solo a colui che percepisce il microcredito. Però l’aspetto più interessante è che le persone cambiano. Noi abbiamo un sistema di welfare abbastanza diffuso, praticamente in tutte le regioni italiane.

Forse bisognerebbe riconoscere al microcredito la capacità di ridurre la spesa di questo welfare, usiamo un’espressione forte, passivo, per destinare parte delle risorse del welfare passivo alla strutturazione di percorsi di accompagnamento al microcredito che a volte sfociano nel microcredito in senso stretto, altre volte consentono alle persone di riqualificarsi anche da un punto di vista personale e psicologico per poter intraprendere un’attività di lavoro dipendente. Quindi in estrema sintesi ridurre o destinare parte del welfare a questi servizi a supporto del microcredito. Aggiungo un altro elemento, in tanti bandi, europei ma non solo, si destinano risorse importanti per attivare nuove imprese. Invece forse sarebbe più utile destinare quelle risorse ad aiutare le persone a intraprendere un servizio di servizi ausiliari per creare nuove imprese, affinché dopo la creazione dell’impresa stessa, questa non sia abbandonata al suo destino. Questo secondo me è l’elemento che anche il regolatore dovrebbe prendere in considerazione, come riconoscere i percorsi di accompagnamento da parte del welfare che viene risparmiato dal supporto passivo alle persone che intraprendono questi percorsi.

Cos’è la finanza etica rispetto alla sostenibilità di impresa e quanto contano i criteri ESG nelle dinamiche microfinanziarie?

La parte sociale è quella più difficile da realizzare, ma soprattutto più difficile da misurare, perché richiede un processo piuttosto sofisticato, vista i conti di engagement, di definizione di quali sono gli obiettivi sociali che si vogliono raggiungere, di come vengono realizzati, di come misurarli nel tempo. Io credo che strutturare in modo opportuno, con sufficiente impegno, con sufficiente risorse, questi servizi ausiliari di fatto già orientano il risultato ad un’inclusione sociale, perché partono proprio dal disagio di quelle situazioni, se persone che sono non bancabili in molti casi soffrono di un problema di inclusione sociale. Quindi si risolvono entrambi i problemi della S del paradigma ESG. Poi sappiamo che gli SDG toccano anche vari aspetti, ad esempio quello della povertà. Il microcredito parte dall’idea di rendere queste persone autonome da un punto di vista finanziario. In alcuni casi è addirittura un welfare molto aggressivo.

Come lo Stato può sostenere la microfinanza? È necessario creare istituti di credito ad hoc o banche del microcredito?

Da un punto di vista dell’intervento pubblico penso che le politiche attive per il lavoro dovrebbero riconoscere più risorse ai servizi ordinari per il microcredito, perché questo consente di raggiungere meglio quegli obiettivi, soprattutto in gruppi di 5 persone o formazione su 4 gruppi di 5 persone in modo iniziale e poi di declinarla sui singoli gruppi, perché questo consente veramente alle persone di ottenere un lavoro e soprattutto di migliorare le loro condizioni. Un progetto della Fondazione Yunus Italia eroga una formazione a piccoli gruppi di persone che hanno perso il lavoro con uno sponsor aziendale che sostiene questi percorsi, che non riguardano solo l’acquisizione di competenze specifiche per trovare lavoro ma sempre di più questa parte sociale di costruzione del gruppo diventa determinante, quindi le politiche per il lavoro forse dovrebbero enfatizzare di più questo aspetto con il supporto pubblico.

Il ruolo delle banche è indispensabile per più ragioni, la prima perché hanno l’accesso ai canali di raccolta e quindi anche di finanziamento in modo diretto, quindi gestiscono tutti i rapporti finanziari in modo più preciso, più dettagliato rispetto a quello che potrebbero fare altri intermediari. sostanzialmente facciamo leva sulle risorse finanziarie delle banche che finanziano questi progetti, quindi spendiamo meno, attiviamo più risorse finanziarie e soprattutto abbiamo persone formate per poter gestire correttamente quelle risorse finanziarie.

L’altro aspetto importante del mondo bancario, quindi oltre a questo effetto moltiplicativo sui percorsi che sostengono il microcredito è la capacità di selezione, con lo schema del mediocredito centrale, con la copertura dell’80% dell’esposizione, un 20% dell’esposizione rimane in carico alle banche, che avendo in capo questo rischio sull’esposizione, aiutano a selezionare i progetti migliori. Quindi è un punto di vista indipendente sulla qualità di quel progetto. Una banca specifica solo per il microcredito è possibile, ci sono banche che hanno un ruolo di questo tipo, generalmente la marginalità non è elevata, perché tutto quel percorso di tutoring, di mentoring, non può essere coperto dai tassi di interesse. Sono costi troppo elevati e di fatto quei costi poi si risolvono in una riduzione del costo del welfare, che per ovvie ragioni non viene riconosciuto alla banca che attiva quei servizi. E quindi immaginare una banca che faccia solo microcredito è una cosa piuttosto sfidante, però ci sono esempi che funzionano, perché la Gramenn America è una banca che fa solo microcredito.

Cosa significa educazione finanziaria oggi?

Raccontiamo ai nostri studenti qual è il ruolo della finanza e come la parte finanziaria segue l’economia reale. Possiamo partire da esempi molto eclatanti. Una persona che costruisce un vaso a mano in qualche villaggio dell’Africa o dell’Asia, riuscirà a comparsi forse la macchina per fare i vasi quando avrà 50 anni, sempre che riesca ad arrivare a quell’età.

La finanza permette di dare la macchina per fare i vasi a questa persona qui, non a 50 anni con i suoi risparmi, ma a 18 anni, forse anche prima. Quindi l’impatto della finanza nello sviluppo economico è auspicabile, è desiderabile ed è un grande catalizzatore di sviluppo dell’economia reale. Questo è l’elemento chiave. Per questo può avvenire aiutando le persone dell’Amazonia o dell’Africa centrale a comprare strumenti per sviluppare un’attività economica o in Kosovo per far partire un allevamento, così come può essere utilizzato all’interno degli schemi del private banking, della consulenza finanziaria e così via, come aumentare il benessere delle persone e il benessere collettivo. L’importante è capire che la finanza non è fine a se stessa, è a supporto dello sviluppo dei sogni e dei progetti agganciati all’economia reale.

Cosa pensa dell’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale nel mondo economico e microfinanziario?

L’intelligenza artificiale ci dà la possibilità di avere dei colleghi, degli esperti, dei tutor, degli insegnanti a portata di mano a costi che sono precisi. L’intelligenza artificiale ci dà un aiuto incredibile nel produrre nuove idee, nel mettere insieme esperienze passate che ormai sono depositate in vari libri, riviste, casi. C’è la possibilità di poterli riassumere in così poco tempo.

Ci fa capire che abbiamo di fianco qualcuno che sì da un lato potrebbe sostituirci ma soprattutto ci può aiutare a produrre cose che siano effettivamente realizzabili. Oltre al rischio di allucinazione che dicevamo prima, non sempre il contesto è correttamente definito, non sempre c’è quel contatto umano che ci fa capire se una persona è realmente interessata a quel progetto, se vuole effettivamente mettersi in discussione, se è in grado di mantenere da un impegno, da un sacrificio per portare avanti il piano del microcredito che ha descritto.

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