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BANCHE E PMI: Relazione tra istituti finanziari e imprenditori

ELISA PANDOLFI

Come si avvia una impresa? Quali sono gli aspetti più importanti e come preparare al meglio la propria attività imprenditoriale. Uno sguardo nel panorama italiano con una attenta valutazione sull’impatto che il microcredito ha sulla nascita delle nuove imprese.

Ne parliamo insieme a Giordano Guerrieri, esperto di startup, formazione e avvio all’impresa. CEO di Soluzione Funding srl, marchio commerciale Finera, parte di un gruppo più grande, il gruppo Allcore SPA, quotato all’ euronext grow Milan e che insieme alla sua squadra si occupa di aiutare le PMI Italiane a relazionarsi correttamente con il mondo degli istituti finanziari, aiutandoli ad ottenere quelle risorse di liquidità che possono aiutare la realizzazione di business e progetti di investimento per le aziende.

Dott. Guerrieri, come è strutturata la sua attività?

Attualmente siamo dislocati su tutto il territorio italiano con modalità di Smart Working per alcuni dei nostri dipendenti, abbiamo delle aree istruttorie e di verifica degli indici necessari per portare le aziende ad ottenere dei finanziamenti e la volontà di portare il “verbo”, l’educazione creditizia al servizio e a supporto degli imprenditori che dovranno navigare in un mare non propriamente tranquillo nel contesto economico che stiamo affrontando.

Lei si occupa di formazione dell’impresa, quali sono secondo lei le maggiori difficoltà che un neo imprenditore deve affrontare?

Io mi occupo anche di formazione all’impresa essendo inoltre l’amministratore delegato del mediatore creditizio iscritto regolarmente all’OAM. Ho sempre avuto la volontà di portare oltre che risultati pratici, quindi far ottenere i soldi e i finanziamenti alle aziende, anche quello di aiutare gli imprenditori ad avere una visione un pochino più attuale. Gli imprenditori molte volte presi dalla quotidianità, quindi nell’espletare la parte operativa dell’impresa, si dimenticano di aggiornare le proprie competenze finanziarie, basta pensare che molti imprenditori, un po’ più sprovveduti, non conoscono ancora la differenza tra un conto economico è uno stato patrimoniale, oppure hanno difficoltà proprio a leggere una centrale rischi di Banca d’Italia aggiornata, che poi sono gli elementi qualitativi e quantitativi che permettono ad un’azienda di avere un rating o merito creditizio consono all’ottenimento del credito. Il mio obiettivo anche con il mio ultimo libro “Il codice del credito” edito da Rizzoli, è proprio quello di dare gli strumenti di crescita culturale perché penso che in Italia ce ne sia bisogno. Il tempo è poco perché gli imprenditori, come dicevo prima, sono impegnati nell’espletare la parte operativa ma è necessario che inizino a colmare anche le loro lacune di educazione finanziaria e creditizia, se vogliono vedere le proprie aziende crescere e prosperare.

Qual è la formula per creare un business plan vincente?

Intanto per creare un business plan vincente bisogna avere consapevolezza del proprio potenziale, io molte volte vedo il business plan fatto da commercialisti o da consulenti dove su un foglio excel ogni anno l’azienda cresce sistematicamente di un 10/15%, quello non è un business plan, il vero business plan deve essere contestualizzato nell’azienda, nel mercato di riferimento dell’azienda, deve avere la parte descrittiva dell’azienda e degli operatori all’interno dell’azienda, la parte quantitativa numerica, che non deve essere una quantitativa che cresce a prescindere ma deve crescere tramite investimenti programmati che vanno a supporto poi degli investimenti aziendali. Il business plan non è una cosa facile da fare. Molte volte si chiede il business plan per ottenere il finanziamento in banca ma quello che viene chiesto più che un business plan deve essere un vero e proprio piano industriale a 2/3 anni, non possiamo avere il respiro a 5 anni perché come abbiamo visto negli anni precedenti, le casistiche, l’eccezionalità, gli imprevisti, sono dietro l’angolo, quindi basterebbe già avere una visione a 2/3 anni degli investimenti da fare e capire anche come questi investimenti poi hanno un ritorno di cassa sull’azienda. Oggi le aziende come sempre falliscono per cassa no per i fatturati, quindi se abbiamo cash e flusso di cassa riusciamo anche a supportare gli impegni presi a debito da parte delle aziende nei confronti delle banche, se non ci sono i flussi di cassa ma c’è solo il fatturato, perché cresce e ci piace vedere il fatturato che cresce, diventa un business plan dal mio punto di vista sterile, che non serve a niente è solamente un documento. È un documento sicuramente strutturato e complicato da fare, se viene fatto con consapevolezza.

Cosa pensa del microcredito come strumento di autoimprenditorialità?

Microcredito è uno strumento sicuramente utile, perché permette a quegli imprenditori, quei giovani imprenditori che non hanno ancora dimostrato di poter essere confermati all’interno del mercato preesistente la possibilità di ottenere dei finanziamenti sostenuti da un tutor dell’Ente Nazionale per il Microcredito, dalla garanzia statale, che gli permette di avere quel boost iniziale per lanciare la propria impresa. Il microcredito aiuta sicuramente, se dall’altra parte c’è un imprenditore che ha consapevolezza di quello che sta facendo, perché se ad esempio, un pizzaiolo vuole aprire la pizzeria, molto probabilmente non è un imprenditore, è un bravo pizzaiolo ma non è un imprenditore, quindi c’è il rischio che prenda dei soldi dal microcredito ma poi fondamentalmente non abbia le capacità imprenditoriali per poterlo restituire. La sistemazione dell’Ente Nazionale per il Microcredito che affianca con un tutor anche queste iniziative, sicuramente può aiutare, se contestualizzato, la persona che prende i soldi con la sicurezza del Fondo di Garanzia, ha sicuramente un vantaggio ma deve essere gestito molto, molto, molto bene. Io mi auguro anche che il Fondo di Garanzia primo o poi possa allargarsi definitivamente anche alle SRL fino a €100000 di erogazione, spero che questo prima o poi si materializzi perché potrebbe dare effettivamente un supporto anche ad altre aziende, non solo alle piccolissime.


Se potesse cambiare qualcosa nel “modello Italia”, legato alla visione del microcredito, cosa cambierebbe?

Non ho la presunzione di avere la ricetta giusta per poter dare un input alla normativa, essendo io uomo pratico di territorio, sicuramente come impostato ad oggi ha un suo perché, quindi io non cambierei tanto le regole di accesso al microcredito casomai spingerei di più gli istituti bancari e finanziari a gestire meglio e ad entrare meglio in queste dinamiche, quindi sensibilizzerei proprio il comparto bancario, perché solo alcuni istituti poi adoperano o conoscono bene le funzioni del microcredito. Sensibilizzerei un pochino più i player bancari all’utilizzo e alla consapevolezza dell’utilizzo di questo strumento.

Secondo Lei l’Italia è un Paese capace di trasformarsi e trasformare le imprese?

Assolutamente sì, l’Italia e il made in Italy hanno un grandissimo potenziale creativo e nella creatività risede sempre il sale dell’imprenditore a mio parere, l’Italia ha sicuramente delle eccellenze qualitative e una visione molto fantasiosa nel raggiungere determinati obiettivi, il problema oggi è il contesto con il quale le piccole aziende si devono confrontare. Il contesto economico italiano è vessato da mille adempimenti per le aziende e per gli imprenditori dal punto di vista fiscale e normativo, che non permette una scalabilità immediata delle aziende italiane, quindi passare da essere una microimpresa a una media o a una grande impresa non è un percorso facile, perché tutta le serie di normative e di adempimenti che l’impresa deve sostenere, penalizzano un po’ la fluidità e la redditività del business, sto parlando a macro-aree, poi ci sono ovviamente delle nicchie che fanno a se, ma se parliamo come macro, nel contesto generale, questo è un po’ il parametro di tutti. Abbiamo sicuramente un potenziale, ma i parametri anche fiscali sono veramente tanti, l’azienda viene penalizzata proprio nella marginalità e se un’azienda non ha marginalità, non può crescere, perché può solamente sopravvivere o sostenere il modello di business, ma avrà difficoltà a crescere, oltre ad avere altre competenze, la parte fiscale deve essere gestita in una certa maniera, la parte del marketing comunicazione deve essere gestita in una certa maniera, in più il processo deve essere proprio quello di industrializzare tramite processi anche le microimprese. Diciamo che fare l’imprenditore, e fare impresa in Italia non è una cosa facile, sicuramente ci sono altri Paesi in cui è un po’ più agevole, però chi fa impresa in Italia si può dire che è un reale imprenditore, perché sicuramente si tempra l’animo nella quotidianità.

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